Tra le grandi accuse mosse ai giornalisti italiani quella di essere dei “retroscenisti”, sempre a caccia di scoop, di voci dalla “secrete stanze” del potere. E con Mario Draghi, presidente del Consiglio, così riservato, schivo e avaro di dichiarazioni pubbliche, che poco concede alla stampa, il rischio che ci si faccia prendere la mano c’è. E sul serio. Prendiamo la partita del Quirinale, scrive giustamente Ugo Magri sull’«Huffingtonpost»: “Un po’ della confusione politica è provocata da Draghi, che non chiarisce le sue intenzioni. Mancano due mesi al voto sul Colle ancora dobbiamo sapere se il presidente del Consiglio sarà candidato o meno”. La ragione del silenzio però c’è: a svelare più di un’indiscrezione «Dagospia», informatissimo su quanto succede a Palazzo Chigi.
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«Non sono un burattino», Draghi e il retroscena “bomba” di Dagospia: il “no” secco ai partiti
Al quesito su cosa intenda fare “da grande” Draghi è sempre parso sfuggente: «Almeno una volta ogni ora circa mi fate questa domanda. La risposta è sempre la stessa: è abbastanza offensivo nei confronti del presidente della Repubblica in carica cominciare a pensare in questo modo. Secondo: non sono la persona giusta a fare questa domanda, le persone giuste sono in Parlamento», le dichiarazioni del premier in una delle ultime conferenze stampa, replicando ad un giornalista. Una condotta “misurata”, in perfetto stile british, che Roberto D’Agostino giustifica così: “Mario Draghi non si esporrà, per rispetto istituzionale, fino al 31 dicembre prossimo, quando Sergio Mattarella pronuncerà il rituale e (forse) ultimo messaggio di fine anno. A partire dal 2 gennaio, Mariopio sarà libero di dire ‘grazie, ma preferirei di no’ e rinunciare ufficialmente al Colle”.
Deduzione di Dago o frase rubata?
E proprio da «Dagospia» arriva l’ennesima indiscrezione “bomba” (uno ‘tsunami’ potremmo dire). Di quei flash che certamente faranno discutere: «Non sono un burattino», avrebbe sbottato Draghi. Non è chiaro se sia una deduzione di Dago o una frase “rubata” nelle sacre stanze di Palazzo Chigi, ma il concetto è abbastanza chiaro. Un rumor rilanciato anche da “Libero Quotidiano”, che scrive: “Il patto del Quirinale siglato a tavola da Goffredo Bettini e, tra gli altri, Gianni Letta, non va giù a Mario Draghi. (…) Il gran visir democratico Bettini avrebbe convenuto sull’opportunità di spingere Draghi al Quirinale e piazzare al suo posto come premier il fidatissimo ministro del Tesoro Daniele Franco”. Ma l’attuale presidente del consiglio non sarebbe d’accordo.
Draghi al Quirinale: cos’è il patto della lasagna
“Il patto della lasagna” non esisterebbe a detta del sito di D’Agostino: “Mariopio al Colle, Franco a Palazzo Chigi. Franco premier non ha autorevolezza per una maggioranza così rissosa. E poi chi parla con Macron, Ursula e Scholz?”, si domanda Dago nel suo succulento “report”. “Nei prossimi giorni l’aut-aut di Draghi: se si va avanti così. io vi saluto. Ho accettato l’incarico solo per salvare il mio paese in stato d’emergenza”. Forse proprio per questo, il ragionamento del retroscena si chiude così: “Enrico Letta si è ben guardato di andare a lucidare la pantofola di Bettini, ormai mejo di Lucherini come press agent di se stesso”. Leggi anche l’articolo —> Toto Quirinale 2022, non solo Draghi: i nomi in lizza per il post Mattarella