Sono passati 30 anni dalla strage di Capaci, e ancora quella tragedia è offuscata da una nube di dubbi. Poteva essere evitata? Le forze dell’ordine erano a conoscenza di quanto stava accadendo? La politica ha avuto un ruolo nella vicenda? L’inchiesta di Report, il programma in onda su Rai 3 condotto da Sigfrido Ranucci, ha cercato di rispondere a queste domande. E lo ha fatto proprio nel giorno della commemorazione delle stragi del 1992 con un servizio nel quale sono stati svelati alcuni retroscena clamorosi.
Inchiesta di Report sulla strage di Capaci, le dichiarazioni clamorose
“Non è questa città che ha ucciso mio padre e Giovanni Falcone. Nessuno ha voluto guardare dove si doveva guardare da subito: a quel palazzo di giustizia covo di vipere, come lo chiamava mio padre. Dopo la strage di Capaci mio padre disse a mia madre: “La mafia ucciderà anche me quando i miei colleghi glielo permetteranno, quando Cosa nostra avrà la certezza che adesso sono rimasto davvero solo””. Solo pochi giorni fa Fiammetta Borsellino, figlia del magistrato ucciso in Via D’Amelio, parlava così a Repubblica. E ora, in seguito all’inchiesta di Report, queste dichiarazioni forse finalmente troveranno anche un riscontro giudiziario. Non è un caso, infatti, che dopo la puntata l’antimafia abbia deciso di riaprire il caso, disponendo anche la perquisizione nella casa di Paolo Mondani, il giornalista che ha realizzato il servizio.
Dall’inchiesta è emerso chiaramente che ci sia stato un collegamento tra la mafia, Cosa Nostra nello specifico, e la destra nera. Lo dimostrano i contenuti delle informative, le dichiarazioni dei pentiti ascoltati nei processi e le parole dei testimoni. La ricostruzione gira attorno alla figura di Mariano Tullio Troia, boss mafioso noto anche come U’Mussolini, soprattutto per le sue amicizie tra i banchi della politica. Ma non solo: un ruolo chiave è attribuito anche ad Alberto Lo Cicero, il suo autista e guarda spalle, divenuto nel tempo prima informatore della polizia e poi collaboratore di giustizia. Secondo quanto raccontato a Report dall’ex brigadiere Walter Giustini, contatto di Lo Cicero, infatti, l’informatore aveva avvertito le forze dell’ordine della posizione di Totò Riina già nel 1991, di come catturarlo. Insomma, aveva dato alcune dritte già mesi prima della strage di Capaci.
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Inchiesta Report, il rapporto tra Cosa Nostra e la destra nera
Secondo quanto riportato da Giustini, poi, Lo Cicero lo aveva avvisato anche di aver notato che durante le riunioni dei vertici di Cosa Nostra a casa di Troia “Totò Riina era accompagnato da Biondino Salvatore”. Di quest’ultimo la polizia conosceva gli indirizzi e le informazioni necessarie per arrestarlo, o almeno per pedinarlo. Ma non lo fece. Inoltre, sempre Lo Cicero aveva anche affermato di essersi accorto della “presenza di personaggi di spicco di Cosa Nostra che secondo lui non avrebbero avuto motivo di essere lì se non perché doveva succedere un qualcosa di eclatante“. E lo aveva detto chiaramente al brigadiere Giustini, ma pure questa informazione pare essere caduta nel dimenticatoio in fretta.
Questo, comunque, non è tutto: dal servizio di Report, infatti, o per meglio dire dalle parole di Maria Romeo, compagna di Lo Cicero, è emerso anche che a Capaci, nel periodo delle stragi, c’era pure Stefano Delle Chiaie, il capo di Avanguardia Nazionale. Coinvolto nel tentato golpe Borghese, nei processi per le stragi di Piazza Fontana e della stazione di Bologna, Delle Chiaie pare fosse presente durante l’attentato a Falcone. Proprio lui sembra essere il collegamento diretto con tra “la mafia e lo Stato”, e pare che fosse stato spedito in Sicilia “con il mandato di “quelli di Roma””. Anche perché, insieme a Lo Cicero, aveva fatto un sopralluogo “dove c’era un tunnel a Capaci”, ovvero dove poi l’auto di Falcone è stata fatta saltare in aria. >> Tutte le notizie di UrbanPost