Un altro tassello si aggiunge al caso del rapimento di Silvia Romano, la cooperante liberata lo scorso 8 maggio. Su ‘Repubblica’ l’intervista di Pietro Del Re ad Ali Dehere, portavoce di Al Shabaab, l’organizzazione terroristica che ha sequestrato la giovane. «E perché mai avremmo dovuto maltrattarla? Silvia Romano rappresentava per noi una preziosa merce di scambio. E poi è una donna, e noi di Al Shabaab nutriamo un grande rispetto per le donne», comincia così la conversazione telefonica tra Ali Dehere e il giornalista. Un’intervista resa possibile grazie ad un politico di Mogadiscio che è riuscito a mettere in contatto la redazione con il portavoce del gruppo terrorista islamico Al Shabaab, responsabile di decine di attentati in Somalia.
Silvia Romano, intervista portavoce Al Shabaab: «I soldi del riscatto per finanziare la jihad»
A nome della sua organizzazione, Dehere rivendica il sequestro di Silvia Romano che chiama con il suo vero nome e cognome, non Aisha, quello nuovo, frutto della conversione all’Islam. Il portavoce ammette che buona fetta del riscatto pagato per la sua liberazione verrà impiegato per per la jihad. «In parte serviranno ad acquistare armi, di cui abbiamo sempre più bisogno per combattere la jihad. Il resto servirà a gestire il Paese. A pagare le scuole, a comprare il cibo e le medicine che distribuiamo al nostro popolo, a formare i poliziotti che mantengono l’ordine e fanno rispettare le leggi del Corano», chiarisce Dehere.
Ali Dehere: «Abbiamo fatto di tutto per non farla soffrire. Era un ostaggio, non una prigioniera di guerra»
«Abbiamo fatto di tutto per non farla soffrire, anche perché Silvia Romano era un ostaggio, non una prigioniera di guerra», spiega Ali Dehere, chiarendo poi la differenza: «I prigionieri di guerra li passiamo per le armi, esattamente come fa l’esercito somalo quando cattura un soldato di Al Shabaab. Prima di giustiziare i prigionieri, le truppe di Mogadiscio li torturano per farli parlare, per estorcere tutte le informazioni possibili sulle nostre postazioni strategiche o sulla struttura di comando del nostro gruppo. Ma i nostri soldati sono addestrati anche a soffrire. Perciò molti muoiono sotto tortura senza rivelare nulla. Noi invece non dobbiamo torturare nessuno, perché sappiamo tutto, avendo a Mogadiscio infiltrato i nostri uomini in ogni istituzione, ministero, partito politico e perfino nell’esercito somalo». In realtà nel 2011 la francese Marie Dedieu, 66 anni, malata di cancro e paraplegica, morì durante il sequestro in Kenya. «È vero, quel rapimento finì male. Ma non volevamo ucciderla», ribadisce Dehere.
Intervista di ‘Repubblica’ al portavoce di Al Shabaab: il motivo della conversione di Silvia Romano
Il portavoce del gruppo terrorista islamico Al Shabaab spiega anche perché hanno dovuto cambiare più volte nascondiglio, come riferito dalla ragazza. «Siamo in guerra e i droni americani e l’artiglieria pesante keniana non bombardano soltanto le nostre postazioni militari ma anche i nostri i villaggi e le nostre città, provocando un gran numero di vittime civili. Ogni ostaggio è un bene prezioso, quindi appena c’era il minimo rischio che la zona dove tenevamo nascosta Silvia Romana era diventata un possibile bersaglio per i nostri nemici, sceglievamo un altro nascondiglio». Poi qualche parola sulla conversione, a detta della giovane, avvenuta senza costrizioni: «Perché ha sicuramente visto con i suoi occhi un mondo migliore di quello che conosceva in precedenza». Il giornalista insiste dicendo: ‘Non crede che si sia convertita anche per opportunismo, perché da musulmana rischiava forse meno che da cristiana. O magari perché vittima della sindrome di Stoccolma, che è quella forma di attaccamento che l’ostaggio prova nei confronti dei rapitori?’. Ma Dehere fermo replica: «Da quanto mi risulta Silvia Romano ha scelto l’Islam perché ha capito il valore della nostra religione dopo aver letto il Corano e pregato».
Cos’è Al Shabaab? Chi sono i principali nemici?
«Finora siamo sempre stati etichettati come ‘terroristi’. Mi pare una definizione riduttiva per Al Shabaab», spiega il portavoce, che aggiunge: «Noi controlliamo gran parte del Paese, soprattutto nelle aeree rurali. Ma siamo presenti anche nelle periferie delle città. Eppure non siamo riconosciuti dalla comunità internazionale, forse perché vogliamo che la Sharia sia legge anche a Mogadiscio e perché chiediamo che le truppe dell’Amison, la missione Unione africana in Somalia lascino il Paese». I loro principali nemici: «Anzitutto la classe politica corrotta che governa la capitale e che senza la massiccia presenza delle truppe straniere e senza i generosi aiuti degli Stati Uniti spazzeremmo via in due giorni. Ma diamo anche la caccia a tutti i traditori della jihad, che sono quei vigliacchi che per paura rinunciano a combattere». Al Shabaab si è sporcata di sangue innumerevoli volte: i 148 studenti morti nel campus di Garissa nel 2015, ma anche la strage al mercato di Mogadiscio che è costata la vita a tanti civili. «Ognuno combatte la guerra con i mezzi di cui dispone. Gli Stati Uniti hanno i droni, noi i kamikaze», conclude Dehere. leggi anche l’articolo —> Silvia Romano news, parla lo zio: «Musulmana perché costretta, l’avranno anche drogata» (AUDIO)