Giorgia, 18 anni e pensieri da grande. Il lockdown di marzo che ha ‘blindato’ l’Italia contro il coronavirus Sars-CoV-2 l’ha sorpresa a Milano, dove si trovava per un intervento. Lontana dalla sua Napoli, ha dovuto combattere contro un tumore, ma anche contro la solitudine. Daniele, 22 anni, ricorda i giorni trascorsi in ospedale, unica “compagnia” le “videochiamate su Zoom con gli altri pazienti”. “Non ho potuto vedere nessuno dei miei amici. Sono stati due mesi davvero pesanti dal punto di vista psicologico”. E’ l”effetto Covid’ che si abbatte con ancora più forza su ragazzi già alle prese con una malattia come il cancro. (segue dopo la foto)
Al Congresso nazionale Aieop in modalità virtuale le storie di pazienti teenager ai tempi della Pandemia
Daniele e Giorgia si raccontano, le loro storie sono quelle di pazienti teenager ai tempi della pandemia. I video che racchiudono le loro testimonianze verranno proiettati in occasione della 45esima edizione del Congresso nazionale Aieop (Associazione italiana ematologia e oncologia pediatrica), che si terrà da oggi fino a venerdì 30 ottobre 2020 in modalità virtuale a causa dell’emergenza Covid-19. “Abbiamo ritenuto importante dare la parola ai principali protagonisti dei nostri percorsi di cura, con testimonianze dirette dei ragazzi in video – spiega Andrea Ferrari, membro del Consiglio direttivo Aieop”.
“I pazienti adolescenti – prosegue – ci racconteranno cosa ha voluto dire per loro essere curati da medici e infermieri con guanti e mascherina, senza essere toccati, senza potersi scambiare sorrisi; cosa ha voluto dire andare in ospedale con il timore di infettarsi – l’ospedale che non è più luogo di cura, ma luogo in cui ci si infetta – come hanno vissuto nel periodo di lockdown un’ulteriore forma di isolamento sociale sovrapposta a quella che già vivono quotidianamente”. Parlano di “calore negato” Giorgia e Daniele. E delle difficoltà di guardare al di là di una mascherina.
Le mascherina, protezione e tormento per i giovani pazienti
Le mascherine, protezione ma anche ‘tormento’ per i giovani pazienti. “Una vicenda che mi ha fatto molto riflettere è stata quando, un giorno come tanti in ambulatorio, uno dei dottori non mi ha riconosciuta a causa della mascherina. Questa cosa mi ha fatto molto pensare – dice Giorgia – E’ come se la mascherina ci privasse della nostra identità in un certo senso, soprattutto a noi ragazzi di oncologia pediatrica perché, indossando tutti quanti la mascherina e non avendo i capelli, sembriamo tutti quanti uguali”.
La sua esperienza di malata oncologica comincia “circa un anno fa”. “Mi è stato diagnosticato un sarcoma di Hewing al rene sinistro – ripercorre Giorgia – Mi sono rivolta alla Pediatria dell’Istituto nazionale tumori (Int)” di Milano “dove sono stata in cura circa un anno. Durante i primi 4 cicli di chemio sono riuscita a fare su e giù da Napoli e quindi a stare a stretto contatto con i miei amici e la mia famiglia”. Ma “durante la permanenza in ospedale a causa dell’intervento, l’Italia è stata dichiarata zona rossa ed è entrata in quarantena. Io mi sono trovata costretta a vivere in una città che non mi apparteneva, in una casa che non era la mia”.
“Da sola – spiega Giorgia – e con la sola presenza di mia mamma, quindi senza amici e senza la mia famiglia che mi dava sostegno in un periodo già di per sé difficile. La maggior parte delle persone è convinta che la solitudine possa far stare bene perché aiuta a riflettere, ma riflettere in quel momento era l’ultima cosa che mi serviva. I momenti emotivamente più bassi per me sono stati due in particolare: i miei 18 anni e l’esame di maturità”.
“Ho passato – racconta ancora Giorgia – il mio 18esimo compleanno lontano da tutta la mia famiglia e dai miei amici, solo con la presenza di mia madre. Non ho potuto festeggiare come avevo sempre desiderato da quando era piccola, e mi ha fatto stare veramente male questa cosa. Lo stesso vale per l’esame di maturità. Io non l’ho potuto vivere perché non ho potuto farlo come tutti i miei compagni: loro l’hanno fatto in presenza, io invece ho dovuto farlo tramite schermo”. L’idea che “da grande quando penserò ai miei 18 anni o all’esame di maturità mi ricorderò di queste due cose, mi rattrista molto”.
E poi c’è la paura, che il Covid rende ancora più grande
E poi c’è la paura, che il Covid rende ancora più grande. “In ospedale come per strada c’era il costante terrore di avvicinarsi a qualcuno per paura della loro reazione e per paura soprattutto di prendere un’altra malattia oltre a quella che già si aveva – ricorda Giorgia – Per noi malati è fondamentale il calore della nostra famiglia, dei nostri amici e dei nostri medici e a causa del coronavirus questo calore e questo affetto ci sono stati negati e purtroppo ancora oggi è così”.
Anche Daniele è in cura all’Int. “Il periodo della pandemia è stato difficile un po’ per tutti – dice – Per me la parte più difficile è stato proprio l’inizio perché mi sono operato proprio in quel periodo alla schiena. In ospedale non poteva venire a trovarmi nessuno. Sono rimasto da solo senza potermi muovere dal letto, tra dolori e urla per un’intera settimana. L’unica compagnia che avevo erano le telefonate e gli audiolibri.
E’ stata una settimana parecchio dura perché non ho potuto vedere nessuno dei miei cari, nessuno dei miei amici. Ero qui solo con mia madre, mentre con la mia ragazza ho avuto parecchie difficoltà. La parte più difficile non sono neanche state le cure, ma soprattutto la solitudine”. Messaggi accorati, quelli di Giorgia e Daniele, che sperano non si disperdano nel vuoto. E che potrebbero essere utili, in un periodo in cui gli italiani sono in cerca di motivazioni per continuare la sofferta lotta alla pandemia. >> Le storie di UrbanPost