Vai al contenuto

Walter Tobagi, chi era il giornalista ucciso 40 anni fa dalle Brigate Rosse

28/05/2020 12:34

Walter Tobagi ha dedicato la sua vita alla ricerca della verità. E proprio questa fame di conoscenza l’ha condotto alla sua scomparsa. Sono passati 40 anni dalla sua morte, dal 28 maggio del 1980, quando Tobagi è stato ucciso sotto casa sua, a Milano, dalla Brigata XXVIII marzo, un commando terroristico di estrema sinistra che si richiamava alle Brigate Rosse. Era un giovane giornalista, penna del Corriere della Sera già a 25 anni. Veniva definito “il cronista buono”, e non si è mai fatto intimidire dalle Br.

>>Leggi anche: Medici specializzandi protesta contro il governo: “Avete devastato la sanità, vergogna”

Walter Tobagi, la vita e carriera del giornalista ucciso dalle Brigate Rosse

Nato il 18 marzo del 1947 a Spoleto, in Umbria, all’età di otto anni si trasferisce con la sua famiglia in provincia di Milano, per seguire il padre che lavorava come ferroviere. La sua carriera giornalistica muove i primi passi proprio in quella città. Frenquenta il ginnasio, e lì si propone come redattore del giornale del Liceo Ginnasio Giuseppe Parini, La Zanzara, diventando poi famoso per un processo provocato da un articolo sull’educazione sessuale. Walter Tobagi ha sempre avuto le idee chiare su quello che voleva fare e come voleva farlo. Voleva informare, trasmettere conoscenza, e farlo nel modo più imparziale possibile. Esattamente come un bravo giornalista dovrebbe sempre svolgere il proprio lavoro.

Dopo il liceo, viene assunto dal giornale Avanti!, ma lì rimane solamente pochi mesi per trasferirsi poi al quotidiano cattolico Avvenire. “Nel 1969, quando lo assunsi, mi accorsi di essere davanti a un ragazzo preparatissimo, acuto e leale. Di lui ricordo le lunghe e piacevolissime chiacchierate notturne alla chiusura del giornale. Non c’era argomento che non lo interessasse, dalla politica allo sport, dalla filosofia alla sociologia, alle tematiche, allora di moda, della contestazione giovanile. Affrontava qualsiasi argomento con la pacatezza del ragionatore, cercando sempre di analizzare i fenomeni senza passionalità. Della contestazione condivideva i presupposti, ma respingeva le intemperanze”, ha raccontato il direttore Leonardo Valente.

morte Walter Tobagi

A 25 anni inizia a scrivere per il Corriere della Sera

Successivamente si sposta al Corriere d’Informazione e nel 1972 per lui si aprono le porte del Corriere della Sera. Aveva solamente 25 anni. Tra un lavoro e l’altro Tobagi trova anche il tempo di scrivere un libro, Storia del movimento studentesco e dei marxisti-leninisti in Italia. Nel frattempo si laurea con una tesi in Storia contemporanea sul sindacato nel dopoguerra, acquisendo le competenze necessarie per conquistare una cattedra in Storia contemporanea all’Università di Milano.

Nella sua carriera Tobagi pubblica sette libri, e tutti rappresentano perfettamente il suo modus operandi: dettagliati, documentati, mai sopra i toni, con l’obiettivo di trasmettere informazioni e non di commentare. Gli studi sui sindacati alimentano in lui anche la volontà di impegnarsi nell’associazione di categoria, percorso che lo porta poi a diventare presidente dell’Associazione lombarda dei giornalisti. Lontano dai partiti politici, ha denunciato la precarizzazione dei giornalisti, condizione che non permette di svolgere il lavoro in totale libertà. Valutava in modo positivo la formazione universitaria del giornalista, intravedeva possibili insidie nella tecnologia e guardava con naturale sospetto le concentrazioni di potere.

Walter Tobagi, il cronista buono che non si è fatto intimidire dalle Br

Nella metà degli anni Settanta i giornalisti italiani iniziano a entrare nel mirino del terrorismo rosso. E tra questi c’è anche il nome di Walter Tobagi, per l’impegno e l’interesse dimostrato sul caso. Prima di lui, infatti, erano arrivate numerose intimidazioni a svariati colleghi. Poi sono iniziati gli omicidi, come quello di Carlo Casalegno nel 1978. A riguardo Tobagi aveva scritto: “Possiamo annoverare i terroristi tra quelli che si propongono di far tacere, o almeno intimorire, la stampa. Sarebbe sciocco ignorare questa realtà, ma non possiamo nemmeno farci impaurire. Dev’essere chiaro che i giornalisti non vanno in cerca di medaglie, non ambiscono alla qualifica di eroi; però non accettano avvertimenti mafiosi“.

La lotta contro le Brigate Rosse da parte dello Stato intanto era iniziata, ma non abbastanza da impedire la morte di Walter Tobagi. Era diventato un esperto di terrorismo, ne aveva analizzato le forme di evoluzione della clandestinità. “L’immagine delle Brigate rosse si è rovesciata, sono emerse falle e debolezze. E forse non è azzardato pensare che tante confessioni nascano non dalla paura, quanto da dissensi interni, laceranti sull’organizzazione e sulla linea del partito armato”, aveva scritto nel 1980 nel suo articolo “Non sono samurai invincibili”. Tobagi sapeva perfettamente di essere nella lista delle Brigate Rosse, ma non ha mai avuto paura di continuare a svolgere il suo lavoro esattamente come aveva sempre fatto. Fino al 28 maggio 1980, quando alle ore 11 cinque colpi di pistola lo hanno ucciso. >>Tutte le notizie di UrbanPost