Sono passati 14 anni da quel terribile 6 dicembre 2007, quando un drammatico incidente sul lavoro si verificò nello stabilimento di Torino delle acciaierie Thyssen. Otto operai furono investiti da un getto di olio bollente in pressione, che prese fuoco. Sette vittime, alcune di loro morte nel giro di un mese, l’ottavo operaio unico superstite riportò ferite non gravi.
Il dramma si consumò intorno all’una di notte. Secondo la ricostruzione della dinamica dei fatti, all’origine di questo disastro la fuoriuscita di olio bollente. Fu impossibile circoscrivere le fiamme con gli estintori perché, lo appurò l’inchiesta, l’acqua a contatto con l’idrogeno liquido e l’olio è altamente infiammabile e può – come purtroppo accadde – trasformare un corpo in torcia umana. Di diversa natura le accuse mosse all’azienda Thyssen: quella sera quando si verificò il dramma alcuni degli operai coinvolti nell’incidente stavano lavorando da 12 ore, ed erano alla quarta ora di straordinario; non solo, secondo le testimonianze raccolte dagli inquirenti nello stabilimento i sistemi di sicurezza non funzionarono, gli estintori erano scarichi e mancava il personale specializzato. Fatto, questo, sempre smentito dalla azienda, che negò che all’origine del rogo vi fosse una violazione delle norme di sicurezza.
Chi erano le vittime
Sette le vittime di questo disastro, decedute dopo settimane di agonia: Angelo Laurino, Giuseppe Demasi, Roberto Scola, Rosario Rodinò, Rocco Marzo, Bruno Santino e Antonio Schiavone. Il loro decesso segnò una bruttissima pagina per la storia d’Italia, e inasprì oltremodo la polemica e il dibattito sulle morti bianche, cui seguirono scioperi e manifestazioni in tutto il Paese.
Le indagini e il processo
Immediate le indagini della magistratura sull’accaduto: furono indagati l’Ad della Thyssen, Herald Espenhahn, cui fu contestato il reato di omicidio volontario con dolo eventuale e incendio doloso, per altri 5 dirigenti l’accusa di omicidio colposo ed incendio doloso. Nel 2008 i familiari delle vittime accettarono l’accordo con Thyssen in merito al risarcimento del danno (pari a circa 13 milioni di euro), rinunciando al diritto di costituirsi parte civile al processo.
La prima sentenza arrivò il 15 aprile 2011, quando la Corte d’assise di Torino confermò i capi d’imputazione a carico di Herald Espenhahn, condannandolo a 16 anni e 6 mesi di reclusione. Agli altri 5 imputati, Marco Pucci, Gerald Priegnitz, Daniele Moroni, Raffaele Salerno e Cosimo Cafueri, furono comminate pene che vanno da 13 anni e 6 mesi a 10 anni e 10 mesi.
Il secondo grado di giudizio, il 28 febbraio 2013, quando la Corte d’assise d’appello modificò la prima sentenza, non riconoscendo più l’omicidio volontario, ma quello colposo, riducendo le pene agli imputati. Con il ricorso in Cassazione il 24 aprile 2014 furono confermate le colpe dei sei imputati e dell’azienda, ma venne chiesto un nuovo processo d’Appello perché venissero ridefinite le pene per gli imputati.
La parola ‘fine’ a questo lungo iter giudiziario fu emessa dalla Corte d’Appello di Torino il 29 maggio 2015, con la conferma della sentenza di condanna emessa dalla Corte d’Appello di Torino un anno prima: 9 anni e 8 mesi all’ex ad Harald Espenhahn, i dirigenti Marco Pucci e Gerald Priegnitz condannati a 6 anni e 10 mesi, il membro del comitato esecutivo dell’azienda, Daniele Moroni, a 7 anni e 6 mesi, l’ex direttore dello stabilimento, Raffaele Salerno, a 8 anni e 6 mesi, e il responsabile della sicurezza, Cosimo Cafuer, a 6 anni e 8 mesi.