Il senso della vita è ricercare se stessi. Una ricerca, forse impossibile da portare a termine, ma che con la forza della musica diventa terapeutica, diventa vita stessa. Garibaldi, al secolo Simone Alessio, è un giovane cantautore originario di Diano Marina, in Liguria. «Ho trasformato il mio dolore in gioia attraverso le mie canzoni…. Questo è il grande dono che ho ricevuto dalla musica».
UrbanPost ha intervistato Garibaldi alla vigilia di un passo forse decisivo per la sua carriera musicale: il primo album in uscita nel corso del 2020. E’ il lancio del “progetto Garibaldi” prodotto e arrangiato insieme a Umberto Iervolino, direttore d’orchestra che ha diretto al Festival di Sanremo per vent’anni e accompagnato in carriera artisti del calibro di Francesco Renga e Gianluca Grignani. In questa intervista abbiamo cercato di approfondire chi è realmente Garibaldi per Simone per comprendere meglio il suo progetto artistico: ne esce un racconto schietto, vivo e sì… anche “garibaldino”.
Perché il nome Garibaldi? Che cosa senti di avere in comune con l’eroe dei due mondi?
«Il nome d’arte Garibaldi è nato in treno, circa un anno e mezzo fa. Stavo viaggiando verso le Marche. Ho conosciuto molti artisti indipendenti di diverse regioni italiane. In comune avevamo lo stesso sogno ma anche le stesse difficoltà. Mi ricordo di essermi detto: “Ci vorrebbe una persona che ci unisca tutti, perché solo insieme noi potremmo veramente fare qualcosa di grande… ci vorrebbe il “Garibaldi della musica”. Sono partito da solo e senza mezzi. Secondo me la musica è il più grande strumento per unire le persone. Come Garibaldi: un uomo, un obiettivo, forse l’ultimo eroe romantico».
Perché porti quei baffi? Un altro riferimento risorgimentale?
«Il mio look, i miei baffi in realtà sono nati prima della mia passione per la musica. Sono diventati un po’ il mio tratto distintivo e successivamente anche il mio logo. Sono un amante del vintage, mi piace l’unione di stili differenti. Curo la mia immagine e creo il mio mix di difficile collocazione temporale, che poi è anche quello che faccio nella mia musica».
E’ evidente che per te la fama è solo un mezzo. Qual è il reale obiettivo del “progetto Garibaldi”?
«La fama sì, è solo un mezzo… Dalla mia arte ho trovato molte risposte, sento l’esigenza e la responsabilità di condividerla. La musica nella mia vita ha avuto e ha un ruolo importantissimo. Mi ha aiutato a far uscire la mia essenza. Sono sempre stato una persona che si è fatta molte domande sulla vita. Credo che la mia arte possa essere di aiuto a qualcuno come lo è stata per me. Il “progetto Garibaldi” è un album che tratta temi sociali e racconta la mia personalità, il mio intento nella musica e nella vita. Le musicalità sono balcaniche folk ma anche moderne. Sono certo che con il contributo del maestro Umberto Iervolino e della sua casa discografica Aisha ne uscirà un buon risultato».
Il senso della vita, titolo del tuo ultimo singolo: cosa ti ha portato a cercarlo? La musica ti ha aiutato in questa ricerca?
«Il senso della vita è nato un giorno in macchina con mia madre. Era una giornata frenetica, avevamo avuto molti impegni e imprevisti. Avrei voluto che scivolasse via, con la consapevolezza che tanto non avrei ricordato nulla. Riflettendo su questo pensiero dissi a mia madre la prima frase del senso della vita: “Il senso della vita ti verrà a trovare… Seduto e vecchio al bar… Cosa avrai da raccontare?”
In quel momento mi sono immaginato un uomo ormai vecchio, seduto ad un tavolo di un bar, che guarda indietro la sua vita e si rende conto di aver trascorso la maggior parte del suo tempo inseguendo miraggi. Così è nata questa canzone, la tematica centrale del brano ‘l’essenza del vivere’. Sono arrivato a casa e l’ho composta».
«Sì, la musica mi ha aiutato in questa ricerca. Ho passato un periodo difficile della mia vita. Diversi lutti in famiglia in poco tempo, la perdita di persone a cui ero molto legato. Sono cresciuto molto in questi momenti e mi sono fatto diverse domande. Ho trasformato il mio dolore in gioia attraverso la composizione di canzoni. Questo è il grande dono che ho ricevuto dalla musica».
In un’intervista abbiamo letto che tu hai un’idea tutta tua di anarchia. Cosa intendi per anarchia, una vita senza guida o un rifiuto del potere, delle imposizioni?
«Per me anarchia non è un rifiuto del potere, ma un rifiuto della coercizione intesa come omologazione. Qualunque individuo dovrebbe vivere seguendo la propria essenza, non ledendo e oltraggiando la libertà altrui».
Chi è veramente libero secondo te?
«Credo che in una società come la nostra, volta all’omologazione, una persona libera sia quella che riesce a esprimere se stessa e ad inseguire i suoi sogni.
Io mi reputo una persona libera».
Il tuo sound da quello che abbiamo ascoltato finora spazia dal Brasile ai Balcani, da echi di bossanova allo ska: quali sono i tuoi riferimenti musicali?
«La mia musica si ispira sia a quella italiana che a quella balcanica. Ho deciso di chiamare il mio genere con un termine antico ormai in disuso: “Balcano”. Il tentativo è quello di unire diverse sonorità folk con quelle moderne per creare un genere a cui è difficile dare una collocazione temporale. Sono molto contento del risultato».
Perché la scelta, in “Mi e ti”, di cantare in dialetto ligure? Non è in contraddizione con l’idea del Garibaldi che unisce i mille? Mille lingue e dialetti diversi…
«”Mi e Ti ” è stata la mia prima canzone pubblicata. È stata una dedica speciale per i miei nonni a cui ero molto legato. Andavo spesso in campagna con loro a raccogliere le olive e parlavano in dialetto. Ho voluto omaggiare loro e le tradizioni liguri. Non era ancora maturata in me l’idea del progetto Garibaldi».
Tu preferisci essere un artista di nicchia o vorresti appartenere al mainstream?
«Sarà il pubblico a decidere la mia collocazione, spero che i miei testi possano raggiungere il maggior numero di persone. Io posso solo amare e mettere tutto me stesso in quello che faccio».
Tu ti senti un cantautore o un artista in generale?
«Ho un modo personale di raccontare la vita. Non lo faccio solo attraverso le canzoni, ma con le immagini che rendono il messaggio più chiaro e intenso, il look, in poche parole con tutto me stesso. Se questo è un punto di riflessione per altri è una cosa che mi riempie di gioia».
Che rapporto hai con il tuo pubblico: come vivi i tuoi concerti?
«Sul palco mi sento me stesso e riesco a esprimere al massimo le mie emozioni. Mi piace avere un rapporto diretto. È un po’ come se portassi il pubblico nel mio mondo interiore, senza filtri e senza costruzione. Amo comunicare con le persone. Credo che si cresca da ogni interazione, anche per questo curo io personalmente i miei social».
(intervista a cura di Jessica Gurrera e Andrea Monaci – Foto © Simone Alessio “Garibaldi” – Instagram)