Omicidio Gianna Del Gaudio: l’assassino che l’ha sgozzata è lo stesso che ha ucciso, con le medesime modalità, la manager d’azienda Daniela Roveri? L’ipotesi a quanto pare non sarebbe così remota. Due donne uccise a pochi mesi (la prima a fine agosto 2016 a Seriate, l’altra nel dicembre dello stesso anno a Colognola) e chilometri di distanza, nella Bergamasca, e la possibilità che la mano assassina sia stata la stessa.
A pochi mesi dall’inizio del processo a carico di Antonio Tizzani, il marito della Del Gaudio accusato di uxoricidio, emerge infatti una sinistra ipotesi corroborata da una evidenza scientifica che fa supporre il killer delle due donne sia stato lo stesso e, dunque, non Tizzani. L’ex ferroviere in pensione – indagato a piede libero vista l’assenza di prove schiaccianti a suo carico – si è sempre professato innocente sostenendo che a sgozzare la moglie, la notte del 26 agosto 2016, sia stato un uomo con indosso una felpa con cappuccio più grande di qualche taglia, così da riuscire a coprirsi la fronte e parte del viso che lui, dal giardino di casa dove si trovava durante l’aggressione della moglie avvenuta in cucina, non avrebbe fatto in tempo a scorgere.
Gianna Del Gaudio e Daniela Roveri: aplotipo Y identico nei due Dna trovati sulle scene del crimine
Le indagini relative ad entrambi gli omicidi hanno fatto emergere un particolare investigativo di non poco conto: il Dna rinvenuto sulla scena del crimine a Seriate ha un componente, un aplotipo, identico a quello trovato nel secondo luogo del delitto, l’androne di un palazzo, dove fu sgozzata Daniela Roveri. Elemento concreto, questo, che potrebbe significare qualcosa di incredibile. Durante un’udienza del processo Tizzani, il presidente della Corte Petillo ha chiesto infatti al tenente colonnello Marino, ufficiale del Ris che ha eseguito gli esami: “Se in una scala da 1 a 100 mi può indicare questa compatibilità, come la colloca?”. Il colonnello Marino ha risposto: “Se devo tradurla in termini percentuali questa è del 99,99%”.
Secondo il racconto di Tizzani, quella sera l’incappucciato avrebbe toccato con la mano proprio un punto della ringhiera del cancelletto della sua casa dove gli inquirenti hanno trovato una traccia di sangue: “Presumo abbia scavalcato il cancelletto che era sicuramente chiuso – difatti è facilmente scavalcabile – mentre io ero ancora in salotto” (verbale della deposizione di Antonio Tizzani e agli atti del processo). Tizzani dopo la morte della moglie ha innalzato il suddetto cancelletto aggiungendo alcune sbarre “per questioni di sicurezza”, ha riferito all’inviato di Quarto Grado che è andato a trovarlo per ricostruire insieme a lui il percorso che avrebbe fatto il fantomatico uomo incappucciato nell’atto di fuggire dopo il delitto. Secondo la consulenza del Ris c’è una corrispondenza “blandamente e discretamente probabile” tra i due profili ignoti trovati sulle due scene del crimine. Se quindi nessun reperto e/o riscontro oggettivo ha permesso finora agli inquirenti di legare i due delitti e trovare analogie tra essi, è la scienza a farlo.
Due tracce miste con lo stesso aplotipo: un solo assassino o due killer imparentati?
Si tratta di due tracce miste che hanno lo stesso aplotipo Y (tipico dell’individuo maschile) perfettamente sovrapponibile. Quarto Grado ha interpellato al riguardo, per avere chiarimenti da una esperta, l’antropologa molecolare forense Elena Pilli che ha spiegato come con il succitato aplotipo non si può arrivare alla identificazione personale: “Trattasi di cromosoma Y che viene tramandato da padre a figlio maschio, quindi il nonno e il nipote avranno lo stesso cromosoma Y come il padre e il figlio. Si dovrà quindi, per potere identificare l’individuo, analizzare gli altri cromosomi […] Considerato l’aplotipo Y, o si tratta dello stesso soggetto dal momento che i due profili sono perfettamente sovrapponibili, oppure sono imparentati”.
Oltre all’aplotipo in questione, pertanto, vi sarebbero altri alleli compatibili tra le due tracc genetiche. Di cosa è frutto questa ulteriore compatibilità? Una anomalia che nel linguaggio medico-scientifico è denominata ‘artefatto di reazione’: “La componente femminile – ha spiegato la dottoressa Pilli – è maggiore di quella maschile e può coprire i picchi e quindi creare dei disturbi oppure il profilo della vittima e quello dell’aggressore possono sovrapporsi proprio in quella regione e quindi la lettura del profilo minoritario dell’aggressore risulta di non facile comprensione”. Tuttavia se la compatibilità è solo su 3-4 loci (ovvero regioni del Dna) non è sufficiente per identificare un soggetto; occorre, come ha detto l’antropologa, approfondire la questione. L’esperta ha quindi precisato che trovare (come nel caso in questione) due aplotipi perfettamente sovrapponibili per diversi marcatori non è una cosa frequente. “Ciò può voler dire che siamo in presenza dello stesso soggetto o di due soggetti imparentati fra di loro”.