Coronavirus, l’orrore davanti agli occhi di milioni di persone, anche quelli che finora hanno voluto chiuderli. Per paura, perché non riescono ad ammettere che questa è una guerra vera, contro un nemico subdolo perché invisibile. L’Italia intera piange i suoi morti per l’epidemia da Covid-19, quasi 3mila. Ci sono zone del paese in cui l’epidemia sta facendo strage. La Lombardia conta 1959 vittime, di cui oltre il 60% tra le province di Bergamo e Brescia. L’orrore si è materializzato ieri sera: una lunga colonna di camion militari porta via le salme dalla città di Bergamo. Un’immagine che sconvolge, che non merita spettacolarizzazioni e speculazioni da quattro soldi. Per questo motivo sposiamo l’appello di Filippo Rossi, fondatore della Buona Destra e direttore di Caffeina Festival: «Tre giorni di lutto nazionale. Per rispetto delle vittime e delle loro famiglie».
Coronavirus: Bergamo sconvolta, colpita al cuore come mai nella sua storia
Bergamo è sconvolta, colpita al cuore come mai nella sua recente storia. La camera mortuaria del cimitero cittadino non riesce più ad accogliere le salme delle vittime del virus. Una situazione dolorosa e pericolosa, che ha reso necessario l’intervento dell’Esercito. Una fila di decine di camion militari, dopo aver caricato le bare, si è messa in moto per trasportarle verso altre regioni, a cominciare dall’Emilia Romagna, a Modena. Impossibile descrivere lo stato d’animo dei famigliari delle vittime. Un dolore acuito dall’impossibilità di salutare i propri cari almeno per l’ultima volta. Dopo le ultime ore di vita in solitudine, per il divieto di accesso in ospedale ai congiunti dei malati, anche l’umiliante epilogo nella camera mortuaria ingombra di bare fino all’inverosimile.
«Tre giorni di lutto nazionale. Per rispetto delle vittime e delle loro famiglie»
Sì, Filippo Rossi ha ragione. Non possiamo far finta che questa scena raccapricciante venga classificata nella nostra memoria come “effetto collaterale”. Lutto nazionale. Lo dobbiamo alle vittime di questa guerra inattesa e violenta, lo dobbiamo alle loro famiglie ed alla loro dignitosa compostezza. Lo dobbiamo a noi stessi, se non vogliamo smettere di sentirci una Nazione. Senza retorica, ma se non riscopriamo la forza di restare uniti, a partire da questo dolore immenso, allora vuol dire che abbiamo già perso la guerra. Noi, però, siamo certi che non sarà così. Per cui, con Filippo Rossi, estendiamo l’invito a tutte le forze politiche e alle più alte cariche dello Stato. E’ il momento di fermarci per ripartire più forti, dal dolore un’energia nuova per combattere il nemico invisibile.