L’Italia dopo il Coronavirus. Il COVID-19 ha creato un’atmosfera di paura e ansia mai visita dal lontano 11 Settembre 2001. Sono ormai trascorse tre settimane dall’attuazione del Decreto Legge del 9 marzo scorso con cui il Governo, nell’intento di rallentare e possibilmente fermare il contagio da Covid-19, ha fortemente ridotto le libertà individuali. In primis, quella di spostamento sul territorio nazionale, ammessa soltanto in poche e giustificate circostanze, quali andare a lavoro, a fare la spesa, in farmacia, banca o posta, oppure ad assistere parenti o familiari non autosufficienti. Parola d’ordine, “distanziamento sociale”. E, come in tutti i momenti di crisi, ci sono reazioni contraddittorie.
Da una parte ci sono atti di coraggio e solidarietà. Indubbiamente quelli più visibili provengono da parte di medici, infermieri e volontari che stanno affrontando turni inumani e massacranti negli ospedali – spesso con scarsi mezzi – mettendo così a rischio la propria vita. Poi ci sono quelli poco visibili, di cui la stampa e le TV non parlano molto. Come, a esempio, quelli dei lavoratori nel settore agroalimentare e zootecnico, degli autotrasportatori e di tutta la filiera – che con il loro lavoro continuano ad assicurare che ci sia cibo sulle nostre tavole e medicine nelle farmacie. Ricordiamo, inoltre, che molti di loro sono extra-comunitari, spesso sottopagati, fuori da ogni regola, e soggetti a sfruttamento.
E poi tutti gli altri lavoratori, italiani e non, occupati nelle attività produttive essenziali nel mandare avanti il paese, nonostante esso sia in gran parte “chiuso” per emergenza. Senza di loro ci ritroveremmo con mercati e negozi vuoti e senza altri servizi. Poi ci sono i piccoli atti di solidarietà, che vedono protagonisti i vicini di casa aiutarsi per fare la spesa; o il fruttivendolo che decide di offrire consegne a domicilio per far sì che le persone escano il meno possibile. Altri, ancora, intenti a portare – in una situazione più difficile del solito – aiuto e conforto agli ultimi della società, i senzatetto, che in questa pandemia restano più soli e fragili che mai. E poi, i canti dai balconi – un gesto geniale e tutto Italiano. Un gesto che avvicina la gente in un modo che soltanto la musica può fare, e che aiuta a esorcizzare la paura e il disagio che la quarantena di massa inevitabilmente comporta.
La paura porta all’irrazionalità e alla rabbia
Ma oltre al coraggio e alla solidarietà, si manifestano inevitabilmente anche la paura e l’ansia. La paura è palpabile. L’atmosfera nelle strade è surreale, con scuole, negozi, cinema, bar e ristoranti chiusi; piazze, strade e parchi deserti e lunghe file di clienti fuori i supermercati. Le persone che evitano qualsiasi contatto umano, come parlarsi e stringersi la mano. Un metro – la distanza di sicurezza – diventa, così, un abisso. Sui marciapiedi, la gente cammina in silenzio ed evita anche lo sguardo degli altri passanti.
La paura porta anche all’irrazionalità. Come avvenuto con l’esodo dell’ 8/9 Marzo, quando migliaia di persone, studenti e lavoratori, sono praticamente scappate in massa dalla Lombardia, ormai dichiarata zona rossa a causa del Covid-19, per raggiungere le seconde case in altre regioni, ma soprattuto per ricongiungersi ai familiari nel sud. Sicuramente sapevano che viaggiare comportava un alto rischio di trasmettere il virus ai loro cari.
Oppure alla rabbia. Come nel caso di persone che hanno preso d’assalto il supermercato di Palermo, portando via merci senza pagare – anche a causa delle difficoltà economiche aggravate dall’epidemia.
E poi c’è l’immancabile stupidità di alcune persone. Persone che si sentivano – e ancora si sentono – forti e immuni, fino al punto di non temere il virus. Gente che usciva e andava in giro per strada, e addirittura organizzava feste e cene.
L’Italia dopo il Coronavirus: questa pandemia è diversa da quelle del passato?
Ma questa pandemia è diversa dalle altre del passato? Nei sentimenti umani che esse provocano, no. Basta leggere i libri di Manzoni (Promessi Sposi), Camus (La Peste) o Saramago (Cecità). Le emozioni sono sempre quelle: paura, diffidenza, coraggio, stupidità, ansia e rabbia.
Ma forse quello che differisce molto di questa pandemia è che oggi i mezzi di comunicazione sono molto più efficienti e capillari. In particolare, mezzi come WhatsApp, Facebook e Twitter permettono di comunicare immediatamente e a costo zero. E in questi giorni, chi non ha visto la memoria del proprio smartphone riempirsi di video che dicono tutto e il contrario di tutto? Fake news, altre notizie che le smascherano, ma che a loro volta lo sono o potrebbero esserlo fake news. Con la conseguenza di aumentare paura e ansia – in particolar modo nelle persone che già sono ansiose e fragili.
Tali messaggi sono molto simili ai virus. Oltre il 90% del traffico internet di queste settimane di quarantena di massa è costituito di messaggi che la gente inoltra. Sembra che noi, ormai in simbiosi con i nostri smartphone, siamo ridotti alla stregua di ripetitori di pensieri. Questi pensieri, fake o non fake, esistono e continuano a esistere solo perché noi continuiamo a captarli e inoltrarli. Esattamente come il virus COVID-19 fa con le persone. E questo sovraesposizione alle notizie e contro-notizie non fa altro che generare confusione e uno stato d’ansia permanente Sarebbe, forse, il caso di attuare un “social distancing” anche per i mezzi di comunicazione. Per esempio, mandando solo messaggi essenziali e non inoltrare gli stessi a tutte le persone nel lista di contatti.
E cerchiamo anche il “vaccino” contro questa pandemia di ansia. Per fortuna questo vaccino già esiste e si chiama ironia. Ovvero la capacità di riderci sopra, per sdrammatizzare ed esorcizzare allo stesso tempo il clima di grande tensione che si è venuto a creare recentemente. Un esempio è dato dalla mole di file audio, video e immagini ironiche, a volte esilaranti e con oggetto l’emergenza pandemica in corso, che moltissimi utenti si scambiano su quegli stessi mezzi di comunicazione moderni che diffondono a più non posso notizie allarmanti a tal proposito.
Gli autori
Daud Khan vive tra Pakistan e Italia. Ha studiato alla London School of Economics, l’ università di Oxford e all’ Imperial College of Science and Technology di Londra. Ha lavorato come economista e consigliere per vari paese e enti come Banca Mondiale e la FAO.
Marcello Caruso è uno scrittore e giornalista indipendente che vive in provincia di Latina.