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Report inchiesta camici Lombardia, le contraddizioni e il conflitto d’interessi sull’acquisto dei Dpi

09/06/2020 09:34

Report inchiesta camici Lombardia. C’è aria di conflitto d’interessi nella Regione più colpita dal coronavirus. Da alcuni giorni, infatti, si parla di Dama Spa, l’azienda della moglie e del cognato del governatore lombardo Attilio Fontana che, in piena emergenza Covid, si è aggiudicata senza gara una fornitura di camici e di dispositivi di protezione alla Ragione Lombardia. Quello che emerge, tuttavia, è che la società non ha mai firmato il “patto d’integrità” del 2019, il quale comprende anche la dichiarazione di assenza di conflitti d’interesse. L’azienda infatti ha presentato una regolare fattura da 513 mila euro che dimostra una vera e propria vendita diretta, e solo in un secondo momento ha cambiato le carte in tavola dichiarando che era una donazione.

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Report inchiesta camici Lombardia, tra contraddizioni e conflitti d’interesse

Lo scorso 16 aprile la società Dama Spa si è aggiudicata, senza gara, una fornitura di dispositivi di protezione individuale destinati alla Regione Lombardia per un totale di 513 mila euro. La Dama Spa è la stessa azienda che produce il noto marchio Paul&Shark e, nel suo 10%, appartiene alla moglie del governatore lombardo Attilio Fontana: Roberta Dini. Il restante 90%, invece, riporta il nome del cognato di Fontana, Andrea Dini. La storia ormai è emersa già da qualche giorno, grazie all’inchiesta sui camici in Lombardia di Giorgio Mottola, giornalista di Report, e grazie alcuni anticipazioni pubblicate dal Fatto Quotidiano. In sostanza, Dama Spa aveva dato disponibilità a collaborare con la Regione per reperire con urgenza dei dispositivi di protezione, in particolare mascherine e camici sanitari. Il 16 aprile si è aperto l’accordo, tramite la centrale acquisti della Regione, Aria.

Ciò che salta all’occhio, però, è che tra gli elenchi dei fornitori di Aria è molto difficile trovare la ditta Dama Spa. Inoltre, il nome compare tra gli affidamenti diretti, ma non si capisce bene cosa venda e a che prezzo. Come se non bastasse, l’ipotesi del conflitto d’interessi avanza dal momento in cui si chiarisce che Dama Spa non ha mai firmato il patto d’integrità del 2019, il quale appunto comprende anche la dichiarazione di assenza di conflitti d’interesse. Quindi, in piena emergenza Covid, l’azienda aveva potuto presentare un’offerta commerciale alla Regione per la fornitura di camici, copricapi e calzari sanitari. Nel registro online degli acquisti regionali, poi, manca proprio quello di Dama Spa. La vendita, infatti, è avvenuta senza appalto, ma per aggiudicazione diretta. L’affidamento diretto di denaro è stato firmato da Aria.

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Lombardia inchiesta camici Lombardia, i dubbi sui rapporti tra la Regione e la Dama Spa

Tutto questo ha attirato l’attenzione di Mottola, il quale è andato a chiedere spiegazioni direttamente al ceo di Dama Spa, nonché cognato di Fontana, Andrea Dini. Domandando dell’appalto, Dini ha parlato subito di donazione: “Sono un’azienda lombarda, devo fare il mio dovere”, ha dichiarato. Nella fornitura, tuttavia, si specifica tramite fattura che il pagamento avverrà tramite bonifico bancario a sessanta giorni dalla data di fatturazione. Nonostante questo, Dini però ha continuato a sostenere che “non è un appalto, è una donazione”. Premendo sulla questione dell’ordine delle forniture, poi, ha smesso di rispondere.

A un certo punto, però, è stato costretto ad ammettere: “Effettivamente, i miei, quando io non ero in azienda durante il Covid, chi se ne è occupato ha male interpretato, ma poi me ne sono accorto e ho subito rettificato tutto perché avevo detto ai miei che doveva essere una donazione”. E queste parole scaturiscono ancora più dubbi sulla vicenda.

Fontana Speranza

Dalla vendita alla donazione

Le note di credito, infatti, sono arrivate solo nel momento in cui Repor ha incomincito a indagare sulla vicenda. Si parla quindi del 22 e del 28 maggio, e ammontano a 359 mila euro. Ne mancano altri 153mila. Sembra perciò che la volontà di donare sia apparsa in un secondo momento, più precisamente quando si è sentito l’odore del conflitto d’interessi. Solamente il 20 maggio, infatti, è stata ufficializzata la decisione di donare tutto, quando era in realtà già stata emessa la fattura per il pagamento. La rabbia di Fontana a riguardo, poi, fa emergere ancora più sospetti. Così come la richiesta da parte del governatore di non mandare in onda il servizio, minacciando addirittura la querela.

Fontana, infatti, ha sostenuto di non essere assolutamente a conoscenza di questa fornitura. Ma per quanto voglia incolpare i giornalisti di voler strumentalizzare una storia, è lecito porsi alcune domande quando le cose non sono chiare.

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Dalla vendita alla donazione nel giro di pochi giorni

Come ha spiegato l’avvocato Mauro Mezzetti, però, “non basta la decisione del solo rappresentante legale” per trasformare una vendita in una donazione. “E’ necessaria una decisione del consiglio d’amministrazione di cui deve essere informato il collegio sindacale, perché sia garantito che la donazione non danneggia l’azienda donatrice. Poi, se non si tratta di una donazione di beni di modico valore (e mezzo milione di euro non mi pare sia un valore modico) ci vuole un atto notarile, sottoscritto con la presenza di due testimoni e la redazione di una nota firmata da chi dona, da chi riceve e dal notaio”. Non solo: “L’atto di donazione va registrato entro venti giorni altrimenti scattano sanzioni, perché le donazioni sono sottoposte a un’imposta dell’ 8%, con pene pecuniarie per chi non paga”.

Sembra un tentativo di arrampicarsi sugli specchi, quello di Fontana&family. Magari, invece, è stato fatto tutto in modo regolare. Questi cambi di direzione, però, qualche dubbio lo creano. >>Tutte le notizie di UrbanPost

 

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