Da oltre un anno siamo alle prese tutti i giorni con mascherine chirurgiche, in tessuti lavabili, FFP2 e chi più ne ha più ne metta. Per evitare di cestinare mascherine chirurgiche alla velocità della luce, molti continuano a preferire le mascherine lavabili. Ma gli studi sull’efficacia di queste ultime sono numerosi, e molti arrivano alla conclusione che niente batte le mascherine chirurgiche in quanto a protezione dal Coronavirus. L’ultimo studio dell’Università di Bologna lo conferma.
Mascherine lavabili non efficaci
La mascherina chirurgica perde parte della sua efficacia dopo 4 ore di utilizzo. Secondo lo studio del laboratorio dell’università di Bologna che testa le mascherine, dopo 240 minuti di utilizzo la capacità di filtrazione scende al 93% a causa dell’umidità prodotta dal nostro respiro. Allora, molti optano per una mascherina lavabile. Ma Cristina Boi, professoressa di ingegneria chimica all’Ateneo bolognese, torna a invitarci a prestare attenzione. “Nei nostri laboratori – spiega Boi su Il Resto del Carlino – abbiamo testato una cinquantina di mascherine lavabili. Nessuna ha superato i test. Molte non filtravano a sufficienza, con una capacità che si aggirava attorno al 30%, altre invece non garantivano la respirabilità necessaria”. La mascherina lavabile che la professoressa consiglia è la Eta-20, approvata dal suo laboratorio. “Produrre queste mascherine, testate prima e dopo il lavaggio, è costato mesi di duro lavoro per trovare i materiali idonei. Ne abbiamo provati tanti non accettabili”.
Non disinfettare le mascherine chirurgiche con l’alcol
Sconsigliato anche disinfettare le mascherine nei vapori dell’alcol come consigliato da molti video su YouTube, ma anche qualche sito più autorevole. “Secondo i nostri studi – spiega Cristiana Boi, – la capacità di filtrare, se lasciamo una mascherina esposta ai vapori dell’alcol puro si riduce del 15%. Secondo la normativa, le mascherine chirurgiche devono avere una capacità di filtrare del 95%. Sanificare così un dispositivo di protezione lo rende quindi pericoloso”. Infatti, le mascherine chirurgiche non filtrano le particelle solo meccanicamente, ma hanno anche una carica elettrica, che consente loro di catturare più molecole prima di arrivare all’apparato respiratorio.
Le prove di laboratorio
Da quando è scoppiata la pandemia il laboratorio di Cristina Boi è stato spesso consultato dalle forze dell’ordine e da diverse grandi aziende che hanno deciso di riconvertire la produzione. “Avremo testato 800 tipi di mascherine – afferma Boi -. Per arrivare alla certificazione vengono esaminati almeno 15 esemplari per ogni modello: le prove sono tre (filtrazione, respirabilità e pulizia microbica, ndr) e vanno eseguite su cinque dispositivi differenti. Nei primi mesi dopo lo scoppio della pandemia, solo il 3% delle mascherine superava le prove. Ora, per fortuna, le cose vanno un po’ meglio, perché c’è una maggior disponibilità di materia prima anche di produzione italiana”. >> Tutte le news di UrbanPost