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Silvana Cirillo, “Lettere da una terrazza” réverie di nostalgia e desideri [INTERVISTA]

20/08/2021 16:15 - Aggiornamento 20/08/2021 16:20

Su “UrbanPost” l’intervista a Silvana Cirillo, docente di Letteratura Italiana Contemporanea all’Università di Roma “La Sapienza” e giornalista pubblicista dal 1978. Ha collaborato per anni come consulente culturale a Rai 3. Ha creato e dirige per Bulzoni una collana interdisciplinare di libri di Letteratura, Cinema, Arte, Antropologia, Economia, Storia dal titolo “Impronte”,  e la collana di narrativa “Girandole” per Gremese. È redattrice della rivista “Avanguardia”. Autrice di libri di saggistica come Dal giornalismo alla letteratura, con introduzione di Gaetano Afeltra (1996); Za l’immortale, cento anni di Cesare Zavattini (2012), Savinio, un temperamento aereo (2013), Sulle tracce del Surrealismo italiano (2016) e Roma punto e a capo (2017). Le abbiamo chiesto di parlarci dei progetti in cantiere, del suo ultimo Lettere da una terrazza. Non solo…

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silvana Cirillo

Silvana Cirillo, “Lettere da una terrazza” réverie di nostalgia e desideri [INTERVISTA]

D: Partiamo da un bella iniziativa che è sotto gli occhi di tutti: l’uscita in contemporanea di due antologie di brevi e intensi Recits letterari: “Bella Italia”, in lingua francese, a cura di Philippe Vilain, con racconti di 18 scrittori francesi sull’Italia, e “Douce France”, in italiano, a cura di Filippo La Porta, con narrazioni di 20 scrittori italiani sulla Francia. Ambedue pubblicate nella collana Roma Livres l’una e Girandole l’altra. Seguirà un gemellaggio editoriale… Ci racconta qualcosa a riguardo?

R: «Bene, io ho davvero il piacere e anche l’onore di dirigere questa collana bifronte, Girandole-Roma/Livres. Si tratta di un’originale operazione editoriale e collaborativa fra due case editrici e due collane interscambiabili, che hanno prodotto uno splendido progetto culturale. Una sorta di calcolata avventura, che coinvolge Paesi vicini e amici e quasi quaranta scrittori, con l’obiettivo finale di creare un polo culturale italo-francese, al di qua e al di là delle Alpi. «Chissà  che l’Unione Europea non possa rilanciare la sua originaria promessa umanistica» – mi diceva Gianni Gremese, l’editore internazionale che ha creato le collane – «a partire proprio dalla letteratura, come avvio di un progetto interculturale e articolato». Così come, aggiungerei io, anche dall’entusiasmo con cui tanti scrittori contemporanei hanno lavorato tra loro disinteressatamente e creativamente… Ma la collana ha già portato in Francia Bellissima di Aurelio Picca, tre sceneggiature di Pier Paolo Pasolini, Fantasmi romani di Luigi Malerba, Lontano dagli occhi di Paolo di Paolo. In programma ha ancora testi di  Dacia Maraini, Errico Buonanno ecc. Le parlo anche di Douce France, un vivace ritratto delle terre d’oltralpe. Molto vario, davvero schietto e lontano da scontati luoghi comuni; un lungo racconto a più voci sulla dolce Francia e sulla sua lingua, inclusi i risvolti rivoluzionari e l’attrazione unica esercitata su tanti di loro dal lontano ‘68 parigino. Gli autori? Paolo Di Paolo, Donatella Di Pietrantonio, Luca Doninelli, Alessio Forgione, Daria Galateria, Lisa Ginzburg, Andrea Inglese, Dacia Maraini, Diego Marani, Paolo Morelli, Sebastiano Nata, Antonio Pascale, Romana Petri, Sandra Petrignani, Claudio Piersanti, Lidia Ravera, Giuseppe A. Samonà, Giuseppe Scaraffia, Walter Siti. Altrettanto sincere, appassionate e colte le testimonianze degli autori francesi sull’Italia, anzi sulle tante Italie che loro scoprono e fanno conoscere a noi italiani…».

silvana Cirillo intervista

«Assistiamo sovente ad un giornalismo “prepotente”, dove è lecito interrompere continuamente»

D: Diceva Hemingway che quello del giornalista è un mestiere in cui non “si diventa mai maestri”. Oggi poi il modo di fare comunicazione è cambiato: “Searchlights & Sunglasses” è un progetto multimediale che sottintende una metafora interessante per chi scrive. Un tempo si aveva bisogno di un proiettore per far luce sulla realtà, ora degli occhiali da sole perché le notizie sono troppe. Bisogna stare alla larga dalle fake news ed è facile caderci dentro. Lei, da esperta (penso soprattutto al Corso di alta formazione in Giornalismo che ha realizzato a Tirana qualche anno fa), che ne pensa dell’informazione di oggi? Cosa non ha funzionato nel raccontare l’emergenza Covid?

R: «Direi anzitutto un eccesso di comunicazione sin dall’inizio. Troppi cosiddetti esperti a parlare, a volte con una sicumera impari rispetto a quel che davvero potevano sapere, visto che la scienza ancora oggi ha domande aperte e riscontri relativi rispetto a quel che accade nel campo delle contaminazioni. Bisognava che pochi e sempre gli stessi si assumessero questo incarico: informazioni e non opinioni personali. I giornalisti, a loro volta, pur di riempire spazi, e conquistare attenzione, drammatizzano e si dilungano su fenomeni di poca portata, facendo grandi danni e influenzando lettori e ascoltatori ancora confusi. Come funghi sono cresciuti i tuttologi, in realtà piaga eterna del nostro paese… Le parole vanno soppesate, invece, in casi come questi, e l’ordine delle stesse scelto con cura, perché si sa come già da lì possono scaturire influenze o sollecitazioni diverse. D’altra parte assistiamo sovente ad un giornalismo “prepotente”, dove è lecito interrompere continuamente gli interlocutori, senza lasciar finire il ragionamento o l’esposizione. Con la fretta di chi vuole far sintesi ed esibire insieme la propria sapienza. Spesso prevale la scaletta predefinita rispetto ad un vero dialogo botta e risposta e si lasciano cadere senza replica risposte azzardate e che annebbiano verità, laddove il giornalista serio ha il dovere di rimarcare incongruenze o contraddizioni, anche a costo di assottigliare la scaletta prevista…».

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«Un senso di rimpianto per tanto mondo che certamente non visiterò e tante civiltà che mi mancheranno…»

D: Nel suo libro appena uscito “Lettere da una terrazza”, edito da Perrone, Lei parla di isolamento forzato, di lockdown e chiusure. E ancora di virologi troppo presenti in tv; di dolci e pizze da sfornare, delle mascherine introvabili nella prima ondata. C’è anche un monito a non lasciarsi andare troppo, a non cedere alle lusinghe del pigiama comodo h 24. Ma è il suo tutt’altro che un semplice diario scritto in tempi difficili; piuttosto un divertissement, un viaggio godibilissimo nel tempo e nello spazio, fatto di incontri, belle esperienze e dettagli magari insignificanti, che però in tempi di pandemia si sono caricati di un peso maggiore. Il meraviglioso, no? Ce ne vuole parlare? Magari partendo dal titolo, che di per sé suggerisce già un senso di apertura. 

R: «Vero, ogni sabato scrivevo una lettera all’amico Tonino Rossi, Presidente della FUIS, che aveva lanciato l’idea di costruire una antologia di testi per ogni settimana del lockdown e mi piaceva… Passavo a scrivere dunque tre o quattro ore, in cui mi rasserenava il fatto che fossimo tutti nella stessa barca a cercar di tutelare la nostra e l’altrui salute, e insieme mi disturbava quella che sentivo quasi una speculazione giornalistica su una tragedia così pesante e inaspettata. Passavo molto tempo in terrazza, soprattutto in quella condominiale, enorme, dove correvo, contavo tre km di passi, portavo sedie e tavolini per i coinquilini che avevano i bimbi e, soprattutto, osservavo e ascoltavo i suoni delle varie specie di uccelli sulla mia testa e sui cornicioni attorno. Non per niente la copertina è una manciata di uccelli sparpagliata nel cielo! Ho imparato a riconoscere le voci e i richiami, quelli d’amore fra gabbiani in particolare… Due, sempre su uno stesso camino, mi hanno fatto compagnia per settimane. E poi mi son fatta prendere da ricordi e associazioni sparpagliate, sempre legate a fatti coevi però! La morte di Sepulveda e di Enzo Bosso, grande poesia e musica condivise; l’arrivo del presidente Edi Rama da Tirana, e dei medici cubani da L’Avana in nostro aiuto; un assioma di Leopardi letto in un saggio e un librino sul fascismo della Murgia. Ecco il richiamo a Zavattini, da un lato, e alle parole della giovane costituente Teresa Mattei, dall’altro. Poi incontri, viaggi, mostre… immagini che si accavallavano. Non era un bilancio di vita, però, io sono una positiva e mi guardo sempre attorno, non faccio bilanci ancora… Bilancio no, ma malinconia sì, è vero. Un senso di rimpianto per tanto mondo che certamente non visiterò e tante civiltà che mi mancheranno… La sensazione di impotenza (allora i vaccini sembravano un miraggio eh!) era forte, i morti, tanto pianto creava sgomento vero». 

silvana Cirillo

Silvana Cirillo si racconta: dall’incontro con Cesare Zavattini all’amicizia con Luigi Malerba

D: Nel libro si parla di autori che io amo molto: da Zavattini a Malerba, da Rodari a Savinio. Ci racconta di ognuno un aneddoto curioso? L’opera sua ne è piena!

R: «Aneddoti? Mah, ricordo con simpatia le donne di Zavattini, la mamma e Olga, la moglie, anzitutto; poi la segretaria Maria, cui dettava tutti i suoi testi, la tata che gli preparava i famosi tortelli di zucca (“con l’amaretto dentro, si badi!”). Anni ’80, ai tempi del libro ‘Zavattini parla di Zavattini’, c’erano ancora tutte e ricordo che alla mamma, allettata, regalava sempre un ciuffo di cedrina profumata. Rivedo gli sbuffi di Olga, che doveva tornare più volte a chiamarci per mangiare insieme, mentre lavorando concentrati non ci accorgevamo del tempo che passava… E lui mi faceva vedere l’archivio di casa, con tanti buchi, da cui erano scomparsi lettere e soggetti, nascosti sotto i loden di vari avventori, studiosi sì, ma anche spesso troppo ingordi e di mano lesta. E incontravo spesso Benigni, cui Za voleva affidare La veritàaaa prima che con Arbore progettasse il Pap’occhio. Quando uscì, Za  si sentì “tradito”, e decise di recitare lui stesso la parte del matto interlocutore del Papa, per l’appunto, nell’unico film che lo vide pure regista. E poi Gigi Malerba! Che amico, che scrittore! Ricordo che quando al Teatro Argentina, nella Settimana da leggere, gli attori lessero alcuni suoi racconti su marito, moglie e vicende familiari, così umoristici e intelligenti, venne giù il teatro… dagli applausi. Abbiamo fatto vari lavori insieme… E a casa mia da 12 anni gironzola Tippete, la gatta grigia nata nel camino della casa di Orvieto di Gigi l’estate 2008, poco dopo la sua morte. Io avevo appena perso Parsifal, un certosino grande e amoroso di 20 anni. E non volevo più soffrire per gli animali…Ma quello mi sembrò un segno del destino, un messaggio di Gigi e me la presi, la gattina, e portai a casa. La amo doppiamente, naturalmente». 

D: Ecco, le pagine di “Lettere da una terrazza” sono dedicate anche al rapporto privilegiato che Lei ha con gli animali, specialmente i gatti. Ma anche i gabbiani… Il riferimento a Sepulveda, morto tra l’altro di Covid, è chiaro, lei stessa lo cita più volte. Non crede che l’accademia, a differenza sua, abbia snobbato un po’ l’autore cileno? 

R: «Eh, Sepulveda! Poesie belle, racconti deliziosi. ‘La gabbianella e il gatto’, come racconto di cartoni animati, l’ho visto di nuovo quando lui morì. Un libro per ragazzi che possono leggere anche gli adulti. E gli fa bene al cuore! Ma spesso la cultura alta, Accademie in primis, lascia in un angolo le ragioni del cuore…».

Cirillo

«Delusione forte solo quando non sono riuscita a creare la Scuola di Giornalismo nella mia facoltà alla Sapienza»

D: Per usare un’espressione felliniana si potrebbe guardare a “Lettere da una terrazza” come ad un entusiasmante «Amarcord». Dentro, come diceva Lei prima, c’è anche un profondo senso di nostalgia, malinconia, ad esempio, per i viaggi non ancora fatti, i posti non visti, i tanti progetti in testa da realizzare. Si percepisce. Un po’ come dice il verso della canzone sanremese, che ci ha tormentato per mesi, “Musica leggerissima” (che in sottofondo a dire il vero sta bene col suo libro): le cosiddette “cose lasciate cadere”. C’è un’impresa che non le è riuscita? Anche professionalmente. La parola “rimpianti” non mi piace, ma il senso è quello…

R: «Beh, professionalmente sono appagata, credo anzi di aver operato e sperimentato in tanti settori, prodotto anche ottime situazioni, libri, eventi, accordi culturali, scambi internazionali, sempre e sin da subito (già 40 anni fa, cioè) con uno sguardo rivolto alla interdisciplinarietà, e di aver valorizzato tanto i giovani. Delusione forte solo quando non sono riuscita a creare la Scuola di Giornalismo nella mia facoltà di Lettere alla Sapienza, nonostante fosse un progetto riconosciuto come eccellente da tutti gli organi. Per cause esterne, molto esterne, diciamo così… Bastoni fra le ruote di vario tipo … Ma anche certe logiche interne dell’Accademia, non sempre lineari e che dunque non  ho in certi casi condiviso. Mi hanno disturbata e rammaricata». 

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“Attraversando il Novecento” un omaggio gradito, Silvana Cirillo: «Anche la copertina mi rappresenta»

D: È in libreria anche “Attraversando il Novecento”, edito da Bulzoni, che mette insieme i saggi di alcuni suoi ex studenti e collaboratori. Un modo singolare per renderle omaggio. Molto più di una “lectio magistralis”… Cosa troveranno all’interno i lettori? Perché comprarlo?

R: «Il secolo su cui ho lavorato assieme ai miei allievi per anni. Cercando di raccontargli anche aspetti inediti e autori fra i più originali e avvincenti, non sempre inseribili nei canoni del secolo. Futurismo, Surrealismo, Immaginismo e avanguardie varie, letterature europee, Savinio, Landolfi Malerba… Come fosse non solo un programma, ma un genere, come dire? Una scuola. Ed ecco che alla mia pensione, invece, del solito volume di saggi di colleghi, più o meno contenti di doverli scrivere o rispolverare, mi ritrovo fra le mani uno pensato e gestito da alcuni dei miei migliori allievi: di ieri e di oggi! Curato da Davide Di Poce. Che emozione e che gioia, saper di aver costruito davvero negli anni qualcosa per loro! Gusti percorsi e aspettative analoghi…Tutti con una bella carriera già iniziata (scrittori, docenti, giornalisti, critici) o con prospettive future, tutti autori di splendidi saggi e di tagli nuovi e inediti sugli scrittori che preferiamo: Ortese, Savinio, Za, Landolfi, Morante, Malerba, Fellini e altri, e poi sulla lingua, la narrativa, la critica.  Leggerlo, dunque, per uscire dai soliti studi e percorsi, benché importanti, e andare alla scoperta o riscoperta di tanti aspetti e scrittori intriganti e spesso fuori dei canoni stessi novecenteschi… Anche la copertina mi rappresenta: grotte specchi e colori surreali del Giardino dei Tarocchi. Mi conoscono bene i miei allievi e compagni di tanta strada!».

draghi financial times

«Mario Draghi? Non deve conquistare nessuno, non si rivolge ad eventuali elettori. L’apprezzo enormemente»

D: Prima di salutarla le chiedo un commento a caldo sull’operato del professor Draghi, che sembra parlare un’altra lingua addirittura. Una parlata che non è il “politichese”. Sarà forse per questo che i partiti a volte pare sul serio facciano tanta fatica a comprenderlo? Ad esempio, questo Green Pass obbligatorio è davvero una limitazione della libertà o semmai l’esatto contrario, un modo per averne di più e vivere meno nella paura? La comunicazione del premier la convince?

R: «Non ho dubbi in proposito, Draghi uomo di poche parole, e, a parer mio, più che chiare, che sanno centrare l’obiettivo, senza dispersioni e chiacchiericcio. Lui non deve conquistare nessuno, non si rivolge ad eventuali elettori, e ha ben chiara la richiesta del Presidente di controllare la pandemia. Il Green Pass? Io non temo controlli e regole, che mi garantiscono la sicurezza dei luoghi, e sono per il bene comune, così come per i vaccini a tappeto negli adulti… Non abbiamo alternative! Apprezzo enormemente l’ operato di Draghi, d’altra parte non per niente è stimatissimo e ascoltato in tutto il mondo! So che è mossa politica, ma intanto giorni fa finanche il leader della Lega Salvini dichiarò al suo pubblico: ‘Per fortuna c’è Draghi!’». Leggi anche l’articolo —> Feltri e l’amicizia con Oriana Fallaci: «Prima di morire voleva parlarmi con urgenza»

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