Tetraplegico da 8 anni, “Antonio”, vuole accedere al suicidio assistito, ma la sua richiesta è bloccata da 17 mesi. Questo è il secondo caso a pochi mesi dall’approvazione della richiesta di suicidio assistito di “Mario”. (Continua a leggere dopo la foto)
Anche Antonio, come Mario, poteva scegliere di ricorrere al suicidio assistito in Svizzera, dov’è diffuso il cosiddetto “turismo della morte”. Il cittadino marchigiano ha, però, deciso di restare in Italia per affrontare questo percorso circondato dai suoi affetti più cari.
Il suicidio assistito di Antonio
Nel settembre 2020, Antonio (nome di fantasia), malato tetraplegico, ha richiesto all’Asur Marche la verifica delle sue condizioni di salute per poter usufruire del suicidio assistito. Tuttavia, ha ricevuto un rifiuto da parte dell’Azienda Sanitaria, che, senza una spiegazione, non ha mai avviato tali controlli. Antonio si è per questo rivolto al tribunale di Ancona, i cui giudici, a seguito dell’udienza del 18 gennaio scorso, hanno imposto all’Asur Marche di procedere con l’accertamento delle condizioni patologiche dell’uomo, come sancisce la sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale sul caso Dj Fabo.
Ma perché è così difficile venire ascoltati da un’Azienda Sanitaria? La stessa Associazione Luca Coscioni più volte ha diffidato l’Asur Marche per la sua inadempienza nel caso di Mario, un camionista marchigiano, tetraplegico da 11 anni a causa di un grave incidente stradale. Dopo più di un anno dalla richiesta, Mario ha ricevuto l’autorizzazione all’aiuto al suicidio assistito. Oggi è in attesa della decisione sul farmaco letale da utilizzare.
Il tribunale di Ancona ha ordinato quindi all’Azienda Sanitaria Unica Regionale Marche “di provvedere ad accertare: se Antonio è tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili; se sia pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli; se le modalità, la metodica e farmaco prescelti siano idonei a garantirgli la morte più rapida, indolore e dignitosa possibile.” Antonio è oggi fiducioso di poter mettere fine alle sue sofferenze fisiche e mentali.
Suicidio assistito: una lotta iniziata 15 anni fa
Il primo a richiedere il suicidio assistito in Italia fu Piergiorgio Welby, giornalista e co-presidente dell’Associazione Luca Coscioni. Nel 2006 Welby, colpito da distrofia muscolare, richiese al tribunale di Roma di poter mettere fine ‘dignitosamente’ alla sua vita. La richiesta venne rifiutata e l’attivista pregò il medico anestesista Mario Ricci di staccare il respiratore.
Dopo il caso Welby, furono molti i cittadini italiani che portarono alla luce la necessità di una legge a sostegno del suicidio assistito in Italia. Lucio Magri, Fabiano Antoniani (Dj Fabo), Davide Trentini, Loris Bertocco: tutti ricorsero al suicidio assistito in Svizzera.
In particolare, il caso di Dj Fabo venne messo in evidenzia anche per la presa di posizione di Marco Cappato. L’esponente dell’Associazione Luca Coscioni, infatti, venne processato per aiuto al suicidio di Antoniani, per poi essere assolto. Il pm Siciliano affermò “è una giornata storica e un grande risultato perchè la decisione della Corte realizza pienamente il significato dell’articolo due della Costituzione che mette l’uomo al centro della vita sociale e non anche lo Stato. Ora è compito del legislatore colmare le lacune che ancora ci sono”. Il problema, quindi, è dovuto alla mancanza di una legislazione. Dal 1 gennaio 2022 in Austria la legge consente di accedere al suicidio assistito a seguito di una valutazione medica. Solo nel dicembre 2021 il Parlamento italiano ha cominciato a discutere sul suicidio assistito ma, ad oggi, c’è stata un’unica seduta con rinvio senza data.