
Il 2025 verrà ricordato come uno degli anni più difficili per il commercio italiano. In molte città, dai grandi centri urbani ai piccoli comuni, il numero di serrande abbassate è aumentato in modo visibile. Bar storici, ristoranti, negozi di quartiere e piccole attività familiari hanno chiuso, lasciando vuoti difficili da colmare.
Non si tratta di casi isolati, ma di un fenomeno strutturale che da anni interessa il tessuto economico del Paese e che nel 2025 ha mostrato segnali ancora più evidenti. A confermarlo sono i dati diffusi dalle principali associazioni di categoria e dagli osservatori economici.
Il 2025 e la crisi del commercio di prossimità
Secondo le analisi di Confcommercio, l’Italia conta ormai decine di migliaia di negozi sfitti. Solo negli ultimi anni, il numero delle attività commerciali chiuse ha superato quota centomila, con un impatto diretto sulla vita dei quartieri e sull’occupazione.
Il 2025 ha aggravato una tendenza già in atto: inflazione, aumento dei costi energetici, canoni di affitto elevati e un potere d’acquisto sempre più ridotto hanno messo in difficoltà soprattutto le piccole imprese.
Molti commercianti hanno raccontato di non riuscire più a sostenere spese fisse crescenti a fronte di incassi sempre più incerti.
Bar italiani: un settore in sofferenza continua
I bar sono tra le attività più colpite. I dati della Federazione Italiana Pubblici Esercizi (FIPE) parlano chiaro: negli ultimi dieci anni in Italia hanno chiuso oltre 21 mila bar. Nel solo 2025 il saldo tra aperture e chiusure è rimasto negativo, con centinaia di locali scomparsi soprattutto nei primi mesi dell’anno.
Il modello tradizionale del bar di quartiere fatica a reggere l’urto di nuove abitudini di consumo, dell’aumento dei costi delle forniture e delle difficoltà nel reperire personale qualificato.
Molti titolari hanno deciso di chiudere dopo anni di attività, spesso senza riuscire a trovare un passaggio generazionale.
Ristoranti e pizzerie: tra costi in aumento e calo dei clienti
Anche il settore della ristorazione ha vissuto un 2025 complicato. Ristoranti di fascia media, pizzerie e trattorie hanno sofferto più di altri comparti. L’aumento dei prezzi delle materie prime e dell’energia ha ridotto drasticamente i margini.
In molte città, locali aperti da pochi anni hanno chiuso prima di riuscire a consolidarsi, mentre alcune attività storiche hanno abbassato la serranda dopo decenni di lavoro.
Secondo diversi operatori del settore, il mercato si sta polarizzando: resistono l’alta ristorazione e i format più innovativi, mentre la ristorazione tradizionale fatica a sopravvivere.
Il caso delle grandi catene: l’uscita dal mercato italiano
Il 2025 ha segnato anche decisioni importanti da parte di grandi operatori internazionali. Un esempio emblematico è quello di SSP Group, multinazionale attiva nella ristorazione travel retail, che ha avviato il processo di uscita dal mercato italiano.
La chiusura o cessione dei punti vendita presenti nelle principali stazioni ferroviarie ha evidenziato come anche i grandi gruppi possano incontrare difficoltà nel rendere sostenibili gli investimenti in Italia.
Questi segnali hanno alimentato preoccupazioni sul futuro di altri marchi e catene presenti sul territorio nazionale.
Negozi tradizionali: abbigliamento e calzature in difficoltà
Il commercio al dettaglio tradizionale è tra i settori che hanno sofferto di più. Nel 2025 hanno chiuso numerosi negozi di abbigliamento, calzature e articoli per la casa, in particolare nelle vie secondarie dei centri urbani.
La concorrenza dell’e-commerce, unita alla riduzione della spesa delle famiglie, ha reso sempre più difficile mantenere attive le attività indipendenti.
Molti centri storici mostrano oggi intere file di negozi vuoti, con conseguenze evidenti anche sul decoro urbano e sulla sicurezza.
Attività storiche e botteghe: una perdita culturale
Tra le chiusure più dolorose del 2025 ci sono quelle delle attività storiche. Librerie indipendenti, botteghe artigiane e negozi a conduzione familiare hanno chiuso senza trovare soluzioni alternative.
In questi casi, la chiusura non rappresenta solo una perdita economica, ma anche un impoverimento culturale e sociale per le comunità locali.
Secondo Confcommercio, senza interventi strutturali il rischio è che nei prossimi anni il fenomeno si intensifichi ulteriormente.
Servizi e piccole imprese: non solo commercio
Il 2025 ha visto chiudere anche molte attività di servizi: palestre indipendenti, centri estetici, agenzie di viaggio e piccoli studi professionali.
L’aumento dei costi fissi e la riduzione della clientela hanno inciso in modo particolare sulle imprese con margini già limitati. In alcuni casi, la chiusura è stata preceduta da mesi di difficoltà economiche e tentativi di riorganizzazione non andati a buon fine.
Un segnale per il futuro
Le chiusure del 2025 raccontano un cambiamento profondo del tessuto economico italiano. Non si tratta solo di singole crisi aziendali, ma di un modello che fatica ad adattarsi a nuove condizioni di mercato.
Secondo molti analisti, il 2026 potrebbe essere un anno altrettanto delicato, soprattutto per le attività che non riusciranno a innovare o a contenere i costi.
Il tema delle chiusure riguarda tutti: imprenditori, lavoratori, consumatori e istituzioni. Capire cosa sta succedendo è il primo passo per evitare che interi pezzi di economia locale scompaiano definitivamente.
