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Alberto Stasi non si arrende: «Annullate la mia condanna», la parola passa alla Cassazione

04/01/2021 12:00

Alberto Stasi oggi: “Devo dimostrare la mia innocenza”. Il 37enne condannato in via definitiva a 16 anni di reclusione per il delitto della fidanzata Chiara Poggi, nel 2007, non si arrende. Spera ancora di poter ottenere la revisione del processo, sebbene lo scorso 5 ottobre la corte d’appello di Brescia abbia respinto la richiesta di revisione del processo presentata dai suoi difensori giudicandola “inammissibile”.

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Altro Stasi ci riprova: «Devo dimostrare la mia innocenza»

Alberto Stasi ha fatto ricorso in Cassazione contro il rigetto dell’istanza. La risposta dei giudici della Suprema Corte arriverà nelle prossime settimane. Il ragazzo non perde le speranze di poter fare annullare la condanna definitiva a suo carico. Da cinque anni in carcere, Stasi sta scontando la sua pena nel carcere milanese di Bollate. Ha completato gli studi e oggi lavora come centralinista.

L’ultima parola spetta alla Cassazione

L’avvocato Laura Panciroli che lo rappresenta, ha spiegato che “a suo parere, nel respingere la richiesta di revisione, la Corte di Brescia sarebbe entrata nel merito, quando non avrebbe dovuto farlo, ammettendo nel procedimento la relazione della parte civile che in questa fase non sarebbe ammessa […]”. Al settimanale Giallo, l’avvocato Panciroli ha poi aggiunto: “Dopo aver approfondito la lettura delle carte processuali, sono sempre più convinta che la sentenza definitiva di colpevolezza emessa nel 2015 non sia basata su elementi probanti schiaccianti. Tra l’altro non è mai stato stabilito un movente, e ciò è fondamentale”. Adesso, quindi, l’ultima parola spetta alla Cassazione. 

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Su cosa verte la richiesta di revisione

Fondamentalmente la richiesta di revisione del processo sul delitto di Chiara Poggi verte su una rilettura di elementi già agli atti, ma interpretati in maniera diversa. Si tratta in primis della testimonianza di Manuela Travain, vicina di casa dei Poggi, e delle impronte sul dispenser e dei capelli trovati nel lavandino del bagno della casa in cui si è consumato l’orrendo crimine.

La donna disse che alle 9:30 del giorno del delitto le porte finestre del piano terra di casa Poggi erano ancora chiuse (ma i carabinieri all’arrivo in casa nel primo pomeriggio le trovarono aperte), che il cancelletto era aperto e che notò una bicicletta nera da donna appoggiata al marciapiede. La difesa di Stasi incrociando l’orario di passaggio della vicina, comprovato dall’aggancio della cella telefonica della zona, e considerando che la sua testimonianza è stata reputata attendibile dai giudici, ipotizza che alle 9:28 Chiara fosse ancora in vita, visto che le finestre erano ancora chiuse.

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Gli atti del processo hanno inoltre appurato che Stasi si trovasse già in casa propria a quell’ora perché alle 9:35 accese il suo pc. In base agli orari, quindi, non fu Alberto ad aprire le imposte. E chi, allora? Chiara? O qualcun altro? Si aggiungano poi i capelli lunghi corvini rinvenuti sul lavandino, dove per i giudici Stasi si è perfettamente lavato le mani e che dopo ha ripulito dal sangue. Sangue di cui non fu trovata traccia nemmeno nel tubo di scarico. Posta la ricostruzione cristallizzata a processo, dunque, non si spiega la presenza dei quattro capelli immortalati nel lavandino da una foto scattata dai carabinieri durante il sopralluogo. Potrebbe interessarti anche —> Potrebbe interessarti anche —> Alberto Stasi revisione processo, Roberta Bruzzone lo stronca: «È un altro caso di revisionite»

 

 

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