Il giorno più triste dell’anno, il «Blue Monday», cade quest’anno il 20 gennaio 2020. Non sarebbe niente altro però che una bufala montata ad hoc nel 2005 dallo psicologo Cliff Arnal. Nessuno studio scientifico ha mai confermato la tesi che vuole che il terzo lunedì di gennaio sia il più nero. Del resto che quest’ultimo sia un mese un po’ faticoso, in cui il tempo non è dei migliori per via delle temperature rigide, le giornate sono sempre più brevi, soldi in tasca non ce ne sono perché li abbiamo spesi tutti a dicembre per i regali e Capodanno, non è un segreto per nessuno. Senza contare che non si ha neppure l’attenuante dei dolci e del cioccolato, di cui ci siamo abbuffati dal 24 dicembre a Santo Stefano. Diciamo che lo psicologo Cliff Arnal del Centre for Lifelong Learning, un dipartimento della Cardiff University, ha fatto suo tutto questo e ha elaborato un’equazione matematica (con variabili come «debito», «motivazione», «tempo», «necessità di agire») a sostegno della sua teoria, che però non ha mai trovato un riscontro scientifico.
«Blue Monday», la bufala del giorno più triste dell’anno: tutto quello che c’è da sapere
Il «Blue Monday» non avrebbe nessun collegamento diretto con la depressione. Sarebbe invece una trovata pubblicitaria di Sky Travel, un canale televisivo britannico del gruppo Sky Uk dedicato ai viaggi. Dunque la teoria del dottor Arnall sarebbe stata confezionata proprio per fini commerciali con l’obiettivo di proporre l’organizzazione di un viaggio come unico rimedio alla tristezza. L’Università di Cardiff, all’epoca, ha preso subito le distanze dalle tesi di Arnall. Oggi diverse ricerche hanno chiarito che i picchi depressivi variano: possono esserci in primavera come in estate, talvolta arrivano in inverno, altre volte in autunno. Vanity Fair riporta che sul Journal of Affective Disorders uno studio che suggerisce che in verità non vi è alcuna variazione stagionale, per quanto riguarda la depressione, nella popolazione generale. Come scrive Wired: “La formula di Arnall è assurda, perché non specifica quali unità di misura occorrano utilizzare per ciascun parametro, oltre al fatto che ci sono grandezze non quantificabili (come il clima) o che non tengono conto delle differenze tra aree geografiche diverse (di nuovo il clima) o tra le varie culture (il Natale non ha la stessa rilevanza in tutti i Paesi)“. Nonostante ciò il «Blue Monday» si è diffuso a macchia d’olio, riempiendo le pagine dei giornali, tant’è che a distanza di 15 anni, ci troviamo qui a scriverne.
Una trovata pubblicitaria priva di fondamento
Lo psicologo Dean Burnett, al The Guardian, ha spiegato la sua posizione contro le teorie banali di cui sarebbe ‘impregnato’ il Blue Monday: «La vera depressione clinica (al contrario di quella che può essere una crisi post-natalizia) è una condizione molto più complessa che è influenzata da molti fattori, cronici e temporanei, interiori ed esterni. Ciò che è estremamente improbabile (cioè impossibile) è che vi sia un insieme di fattori esterni che causano depressione in un’intera popolazione nello stesso periodo, ogni anno». Al bando quindi i luoghi comuni, il problema molto più serio. Diciamo più semplicemente che quello che succede a gennaio, ossia dopo le feste natalizie, tende ad amplificare qualcosa che però era già dentro di noi. Per fortuna però si può prevenire l’effetto «Blue Monday», praticando attività che rendono il nostro umore meno ‘noir’. Qualche esempio? Fare sport, praticare meditazione, uscire con le amiche, ascoltare musica, soprattutto abbracciarsi e sorridere alla vita. Poi ricordate Tristezza, tra i protagonisti di Inside Out, lungometraggio della Walt Disney? Beh, anche il cinema è un buon alleato contro il malumore.
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