Regalare un sorriso spesso non è semplice. E in particolare non lo è tra le corsie dei reparti pediatrici. La clown terapia fa questo: dona un momento di gioia tra le angosce, le paure e le preoccupazioni che rimbombano nelle stanze dei pazienti di Oncoematologia di Pisa. Il suo ruolo è fondamentale: i clown terapisti sono un vero e proprio farmaco sia per i piccoli pazienti, che per i genitori disperati. Da quando è iniziata l’emergenza sanitaria, però, si sono dovuti letteralmente reinventare. E ora chiedono, tramite una petizione, di poter essere riconosciuti a livello nazionale nella figura del clown terapista.
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La clown terapia è stata cancellata dall’emergenza covid
“Vogliamo ridare il sorriso ai bambini e tornare in reparto con tutte le precauzioni necessarie”, raccontano a Repubblica Antonietta Oristano e Francesco Pisani, in arte Doda e Bazar. “Basterebbe un Dpcm per fare ciò che facciamo da venti anni. Inoltre, invitiamo tutte le realtà come la nostra a fare rete, a sottoscrivere il nostro manifesto e a portare in Parlamento la proposta di legge che stiamo elaborando.” Sono infatti circa una trentina le altre associazioni sparpagliate per il territorio italiano che, insieme ad altre esperienze informali di clownerie, hanno fatto dell’aiuto in corsia e del sorriso la loro ragione di vita. “Noi siamo pronti a venire col nostro furgoncino fino a Roma, speriamo che gli altri facciano lo stesso insieme a noi. I clown sono usciti dal circo, sono andati in ospedale, poi si sono reinventati sul web, sono scesi nelle piazze e nelle strade, ma ora vogliono tornare in corsia.
Come ha detto Stefano Massini ‘non siamo un diversivo, siamo un farmaco‘”, sottolineano. E in effetti lo scopo sono proprio i Palazzoni romani, riuscire a parlare con il ministro Speranza e perchè no, farsi ascoltare anche dal Presidente Conte.
L’importanza della clown terapia
Con rispetto e dedizione, tramite la clown terapia si cerca di alleviare il dolore dei piccoli pazienti e delle loro famiglie. Ricoprono un ruolo fondamentale tra le corsie pediatriche degli ospedali, perchè riescono a portare allegria là dove c’è solo preoccupazione, tristezza e sconforto. “La nostra attività è nata vent’anni fa nel reparto di Oncoematologia pediatrica di Pisa, quattro giorni a settimana, per 6/7 ore al giorno, la metà gratuite. Siamo professionisti, aggiorniamo la nostra formazione ogni anno e la facciamo a nostra volta. Abbiamo assistito migliaia di famiglie. Entriamo nelle camere in punta di piedi, bussiamo, e in pochi istanti cerchiamo di capire che situazione abbiamo di fronte, cerchiamo di farci accettare dai bambini e dalle loro famiglie a cui è appena crollato il mondo addosso.
E con l’improvvisazione, le gag, le bolle di sapone, lo spiazzamento, diamo uno scossone, regaliamo una risata. Siamo come una scintilla, cerchiamo di stimolare un cambiamento, dal negativo al positivo”. E riescono, almeno per un attimo, a far distrarre i pazienti, i loro genitori, e a farli sorridere. Difficilmente, infatti, le famiglie si tirano indietro. “Sono i nostri primi attori. Al nostro camice si aggrappano come a un’ancora di salvezza, come alla copertina di Linus. Li accompagniamo e loro si fanno prendere per mano. Se va bene ci rincontriamo anni dopo, quando sono cresciuti, lavorano, magari fanno figlie. E se va male, li accompagniamo fino al funerale, regaliamo gioia fino all’ultimo, per cercare di vivere con coraggio e dignità anche la morte”.
“Ridateci il sorriso, fatecelo restituire ai bambini, riportateci in corsia”
Proprio qui è nata l’idea della petizione, la necessità di un riconoscimento formale. “Dopo 20 anni non potevamo fermarci. Così abbiamo potenziato il progetto “Arcobaleno a domicilio”: con le scale dei pompieri o delle imprese di pulizie ci arrampichiamo fino a balconi e finestre e giochiamo con i bambini, separati solo da un vetro. Abbiamo ottenuto l’autorizzazione speciale per girare con il nostro mezzo, “Ridolone”, per tutti i comuni della Toscana. In questo modo portiamo positività e leggerezza con megafono, musica, colori anche agli anziani e a tutte le persone sole. Nessuno canta più dai balconi e allora ci pensiamo noi a combattere l’esclusione, la solitudine e la separazione.
Ogni tre settimane lavoriamo con uno psicoterapeuta che ci aiuta a non andare in burnout e lasciamo andar via gli appesantimenti con musica e hobby. Quando non abbiamo voglia di ridere, il primo scatto lo facciamo dentro noi stessi. Perché il nostro lavoro è uno scambio di emozioni. Non lo abbiamo mai fatto per soldi, ma per passione. Ora però per ridarci il sorriso, fatecelo restituire ai bambini, riportateci in corsia”. >> Tutte le notizie di UrbanPost