«In un certo senso, abbiamo due pandemie: una sostenuta da Omicron e l’altra ancora da Delta. Non dobbiamo dimenticare che molti pazienti in terapia intensiva hanno contratto la Delta, che ha continuato ad espandersi anche nelle ultime settimane». Così al «Corriere della Sera» Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, fotografa l’attuale situazione epidemiologico del nostro Paese. Una realtà binaria che troverebbe riscontro anche negli ospedali, nelle terapie intensive: «Anche all’interno degli ospedali ci sono “due pandemie”: una dei vaccinati e una dei non vaccinati. Come si vede dai grafici dell’Istituto Superiore di Sanità (…), l’essere vaccinati protegge in un modo importantissimo». L’esperto ha inoltre spiegato in che modo Omicron si può curare a casa e come evitare che la malattia peggiori.
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Come si cura la variante Omicron a casa, Remuzzi: “Antinfiammatori ai primi sintomi”
«Con la terza dose in generale finiscono in terapia intensiva solo persone anziane e che hanno altri tipi di malattie associate. La percentuale di non vaccinati in ospedale è altissima, se tutti fossimo vaccinati, non ci sarebbe alcun problema di saturazione dei posti letto», ha spiegato il professor Remuzzi. Nel corso dell’intervista l’esperto ha fatto una previsione di quel che ci aspetta: «Se le due varianti dovessero continuare a coesistere, questo potrebbe rappresentare un problema. Se invece Omicron riuscisse a sopraffare Delta, dal momento che la malattia che provoca è meno severa, allora forse riusciremo a vedere la discesa della curva nel giro di qualche settimana. L’espansione rapidissima di Omicron che sovrasti Delta non sarebbe in sé una cattiva notizia».
Il direttore dell’Istituto Mario Negri ha spiegato che l’immunità di gregge anche con Omicron resta una chimera: «Anche arrivassimo al 95% tra vaccinati e guariti resterebbero da considerare le mutazioni del virus (che non si fermano) e la circolazione delle persone (che continua). Potremmo parlare di una “via d’uscita dalla pandemia”, quasi una “sorta di immunità di gregge”», ha sottolineato l’esperto. Ma la parte forse più interessante del colloquio con «Il Corriere della Sera» è quella in cui Remuzzi ha spiegato in che modo si può evitare che la malattia degeneri.
Le armi contro il Covid: in che maniera si può scansare il rischio ospedalizzazione
Oltre ai vaccini, ecco le armi che abbiamo contro la variante Omicron: «Due lavori scientifici che derivano dal nostro gruppo di ricerca dimostrano che l’impiego di antinfiammatori non steroidei utilizzati ai primi sintomi della malattia riduce del 90% l’evoluzione verso le forme gravi e l’ospedalizzazione. Entrambi gli studi hanno dei limiti e manca ancora la prova definitiva». L’esperto ha poi parlato del paracetamolo: «Esso consuma il glutatione che è un antiossidante molto potente. Proprio in questi giorni è uscito uno studio che mostra che i pazienti con Covid hanno uno stress ossidativo importante, probabilmente responsabile del danno infiammatorio polmonare, associato a deficit di glutatione e si è visto che questo deficit aumenta con l’età».
Le considerazioni su farmaci virali e il ricorso all’eparina
Qualche considerazione poi sul ricorso ai farmaci virali: «Essi impediscono al virus di replicarsi e quindi fermano la malattia ancora prima del suo manifestarsi. Andrebbero dati entro 5 giorni dall’inizio dei sintomi in quei pazienti che si prevede finiranno per avere una malattia più severa e che devono essere segnalati dai medici di medicina generale. L’antivirale ora a disposizione è il molnupiravir di Merck & Co che riduce la malattia severa con un’efficacia del 30%. Presto sarà disponibile anche il paxlovid della Pfizer, che arriva all’87% di efficacia». L’esperto ha spiegato anche che l’eparina sembra che funzioni se data nelle fasi precoci. Sull’idrossiclorochina sono stati fatti tantissimi studi e la conclusione è che non dà vantaggi. Lo stesso vale per colchicina e ivermectina. Leggi anche l’articolo —> Terza dose, quarantena, tampone: cosa fare se si è positivi e non lo si sa