Omicidio Marco Vannini, condanna ai Ciontoli. La Corte di Cassazione, ha pubblicato le motivazioni della sentenza che ha messo fine alla lunga vicenda giudiziaria legata all’omicidio di Marco Vannini. Ucciso, lo ricordiamo, la notte del 17 maggio 2015 a Ladispoli, ferito da un colpo di arma da fuoco esploso a bruciapelo da Antonio Ciontoli, all’interno della sua abitazione. Secondo i giudici Antonio Ciontoli, condannato in via definitiva a 14 anni per omicidio volontario con dolo eventuale, ha agito con “pervicacia e spietatezza”.
Omicidio Vannini, condanna a Ciontoli
Per tutti gli imputati la Corte ha confermato il 3 maggio 2021 la precedente sentenza d’Appello bis. Antonio Ciontoli è stato condannato a 14 anni di carcere per omicidio volontario con dolo eventuale per la morte di Marco Vannini. La moglie Maria Pezzillo e i figli Federico e Martina a 9 anni e 4 mesi per concorso in omicidio. Rimodulato solo il capo di imputazione per i figli di Antonio Ciontoli, Federico e Martina, che da concorso anomalo in omicidio volontario diventa ‘solo’ concorso in omicidio volontario. Dalla sera del 3 maggio, Martina Ciontoli e la madre Maria Pezzillo si trovano nel carcere di Rebibbia, mentre Federico e Antonio Ciontoli in quello di Regina Coeli.
Le motivazioni della Corte di Cassazione
Per la Corte di Cassazione è “del tutto irragionevole” ritenere, come invece chiedono i suoi avvocati, che “egli in cuor suo avesse sperato” che Marco restasse in vita. Ciontoli era inoltre consapevole di aver sparato con la pistola al ragazzo e che il colpo era stato esploso da una distanza minima. Sapeva perfettamente, infine, che il proiettile era rimasto nel corpo di Vannini. E sebbene la ferita avesse smesso di sanguinare, “egli ha necessariamente immaginato, rappresentandosi e, nonostante ciò accettando il verificarsi dell’evento che quel proiettile potesse essere causa di una emorragia interna”.
Nessuno chiamò i soccorsi
“Tutti si preoccuparono subito della presenza del proiettile ancora nel corpo di Vannini, tutti ebbero immediata cognizione di tale circostanza e tuttavia nessuno si attivò per allertare tempestivamente i soccorsi, fornendo le informazioni necessarie a garantire cure adeguate al ragazzo ospitato nella loro abitazione e che, sino a quella sera, avevano trattato come uno di famiglia”. Così continua la Corte di Cassazione nelle 62 pagine di motivazioni. Vannini si era lamentato per il dolore, aveva chiesto aiuto. E lo aveva fatto gridando, come è provato dalle testimonianze dei vicini di casa e soprattutto dalle registrazioni delle conversazioni telefoniche tra i Ciontoli e gli operatori del 118. Eppure nessuno sollecitò l’intervento immediato dei soccorsi, quello che avrebbe potuto salvare la vita di Marco Vannini. >> Martina Ciontoli: lettera ai giudici della Cassazione a pochi giorni dalla sentenza sul caso Vannini