Sanremo non inizia mai davvero a febbraio. Inizia prima, molto prima, in quel periodo indefinito in cui le parole contano più delle note e ogni dichiarazione viene analizzata come un segnale. È lì che il Festival comincia a prendere forma, quando ancora non c’è musica da giudicare ma un immaginario da costruire. Ed è proprio in questa fase che l’annuncio di Carlo Conti sulle conduttrici di Sanremo 2026 ha fatto rumore.

Non un rumore improvviso, ma un’onda lunga. Perché Sanremo non è solo una gara canora. È un racconto collettivo, una liturgia televisiva, un termometro culturale che ogni anno misura il rapporto tra la Rai, il pubblico e il tempo che stiamo vivendo. E ogni volto scelto per accompagnare questo racconto dice molto più di quanto sembri.
Quando Carlo Conti ha pronunciato quella frase, “saranno le mie Charlie’s Angels”, non stava solo presentando tre nomi. Stava suggerendo un tono, una direzione, un’atmosfera. Stava dicendo come immagina Sanremo 2026, prima ancora di mostrarlo.
L’annuncio sulle conduttrici di Sanremo che anticipa il clima del Festival
La cornice era quella della presentazione della finale di Sarà Sanremo, in programma domenica 14 dicembre su Rai1. Un appuntamento che, per tradizione, segna una soglia simbolica. Da quel momento in poi, Sanremo smette di essere un’idea astratta e diventa un progetto concreto. È lì che si iniziano a vedere i contorni, a intuire le scelte, a leggere tra le righe.
Carlo Conti, direttore artistico e conduttore, ha scelto proprio quel momento per sciogliere uno dei nodi più discussi: chi racconterà il Festival prima del Festival. Chi accompagnerà il pubblico nell’attesa, nella ritualità del PrimaFestival, nello spazio in cui Sanremo viene anticipato, commentato, filtrato.
La risposta è arrivata chiara: Ema Stokholma, Manola Moslehi e Carolina Rey. Tre volti diversi, tre storie televisive differenti, tre modi di stare davanti alla camera che non si sovrappongono ma si completano.

Il PrimaFestival come spazio narrativo centrale
Negli ultimi anni il PrimaFestival ha smesso di essere un semplice antipasto. È diventato un luogo autonomo di racconto, una sorta di anticamera emotiva dell’Ariston. È lì che si costruisce l’umore della serata, che si stempera la tensione, che si crea familiarità.
Carlo Conti lo sa bene. Ed è per questo che la scelta delle conduttrici non è mai neutra. Non si tratta solo di “presentare”. Si tratta di incarnare uno stile, di saper stare in equilibrio tra leggerezza e autorevolezza, tra ironia e rispetto della macchina sanremese.
Ema Stokholma porta con sé un’identità riconoscibile, una voce che il pubblico associa a spontaneità e cultura pop. Manola Moslehi rappresenta una presenza elegante ma accessibile, capace di tenere insieme televisione tradizionale e linguaggi più contemporanei. Carolina Rey aggiunge esperienza, solidità, mestiere.
Tre profili che raccontano una scelta precisa: evitare l’effetto fotocopia, costruire un gruppo in cui ogni elemento ha una funzione chiara.
“Le mie Charlie’s Angels”: una frase che pesa più di quanto sembri
Quando Carlo Conti ha definito le tre conduttrici “le mie Charlie’s Angels”, il riferimento non era solo estetico. Non era una battuta di colore. Era un modo per evocare un immaginario preciso, fatto di complicità, gioco di squadra, presenza scenica.
Charlie’s Angels è un simbolo pop che parla di azione, ironia, femminilità non stereotipata. È un richiamo leggero ma non superficiale. Inserirlo nel racconto di Sanremo significa dichiarare apertamente che il Festival 2026 non vuole essere ingessato, ma nemmeno caotico.
È un Festival che cerca ritmo, fluidità, continuità narrativa. E il PrimaFestival diventa parte integrante di questo disegno.
Non solo conduttrici: il ritorno del DopoFestival
Nello stesso intervento, Carlo Conti ha annunciato anche un altro tassello importante: il ritorno del DopoFestival al Casinò di Sanremo, con Nicola Savino alla conduzione. Una scelta che riporta il racconto notturno del Festival in uno dei suoi luoghi simbolo.
Il DopoFestival non è mai stato solo commento. È sempre stato uno spazio di decompressione, di libertà, di sguardo laterale. Affidarlo a Savino significa puntare su un tono ironico ma intelligente, capace di dialogare con un pubblico che non vuole solo giudizi a caldo.
Accanto a lui, a coordinare i contributi musicali, ci sarà il maestro Enrico Cremonesi. Un nome che garantisce competenza e profondità, e che suggerisce l’intenzione di non ridurre il DopoFestival a semplice intrattenimento leggero.
I giovani e il racconto del futuro
Sanremo 2026 non guarda solo al presente. Guarda anche a quello che verrà. E lo fa attraverso il percorso dedicato ai giovani. Durante la presentazione sono stati annunciati i vincitori di Area Sanremo, Matteo Mazzariello e il trio formato da Sonico, Blind ed Elma.
A febbraio si confronteranno nella sezione Nuove Proposte insieme ai due finalisti che emergeranno da Sarà Sanremo. Un meccanismo ormai rodato, ma che continua a rappresentare uno dei pochi veri canali di accesso per nuove voci nel panorama musicale nazionale.
La serata di Sarà Sanremo diventa così una soglia narrativa. I Big presenteranno per la prima volta i brani in gara. I giovani si giocheranno l’accesso al palco principale. E il pubblico inizierà a costruire aspettative, simpatie, narrazioni.
Un Festival costruito per livelli, non per gerarchie
Un elemento che emerge con forza da questi annunci è la struttura corale del Festival. Non c’è un centro unico. Ci sono più luoghi, più voci, più tempi. Il palco dell’Ariston, il PrimaFestival, il DopoFestival, il Suzuki Stage in piazza Colombo.
Daniele Battaglia sarà il volto dello stage all’aperto, uno spazio che negli anni è diventato fondamentale per portare Sanremo fuori dal teatro, dentro la città, nel flusso reale delle persone.
Nei momenti dedicati ai giovani, accanto a Carlo Conti sul palco, ci sarà Gianluca Gazzoli. Un’altra scelta che racconta attenzione ai linguaggi, alla capacità di parlare a pubblici diversi senza forzature.
Carlo Conti e la sua idea di equilibrio
Carlo Conti non è un direttore artistico che ama gli strappi improvvisi. Il suo Sanremo è sempre stato costruito sull’equilibrio. Tra tradizione e novità. Tra spettacolo e misura. Tra intrattenimento e rispetto del rito.
Le scelte per il 2026 sembrano andare nella stessa direzione. Non c’è voglia di shock. C’è voglia di solidità. Ma una solidità che non diventa rigidità.
Le conduttrici del PrimaFestival, il ritorno del DopoFestival, l’attenzione ai giovani, la presenza diffusa sul territorio: tutto contribuisce a creare un Festival che vuole essere riconoscibile, ma non prevedibile.
Perché questi annunci contano più delle canzoni, almeno per ora
Le canzoni arriveranno. Saranno giudicate, amate, criticate. Ma prima delle note, Sanremo vive di aspettative. Vive di volti. Vive di tono.
E in questo senso, l’annuncio delle conduttrici di Sanremo 2026 non è un dettaglio. È una dichiarazione di intenti. Dice come il Festival vuole essere percepito. Dice che tipo di compagnia vuole offrire al pubblico.
Non un evento distante, ma un racconto condiviso. Non un monumento, ma un organismo vivo.
Un Sanremo che inizia già a raccontarsi
La lunga attesa verso febbraio è fatta di piccoli tasselli. Ogni annuncio aggiunge un colore, una sfumatura, una direzione. E quello fatto da Carlo Conti, con quella frase apparentemente leggera, ha già fatto capire molto.
Sanremo 2026 vuole essere riconoscibile, popolare, accessibile. Vuole parlare a pubblici diversi senza perdere identità. Vuole accompagnare, non sovrastare.
Le “Charlie’s Angels” del PrimaFestival sono solo l’inizio. Ma spesso, è proprio dall’inizio che si capisce tutto il resto.
