L’epidemia da coronavirus non accenna ad arrestarsi, il contagio è ormai globale: più di 100 mila i casi di COVID-19 registrati in tutto il mondo. Solo in Cina si segnala un rallentamento, mentre in Italia e nel resto del mondo la crescita di persone positive è costante. Ma si è fatto tutto il possibile per arginare il contagio? Il successo della Cina è la conseguenza delle misure eccezionali messe in campo dalle autorità di Pechino, ma si può dire lo stesso a livello globale?
Coronavirus, contagio globale: «L’Italia sta facendo quanto possibile, altri Paesi no»
L’Italia – secondo Giorgio Palù, professore di Microbiologia e Virologia all’Università di Padova, raggiunto da Treccani.it – «Dopo un’esitazione iniziale è il Paese che più ha effettuato indagini diagnostiche anche al di fuori delle linee guida (tamponi a soggetti sintomatici e ai contatti dei contagiati). Le misure adottate sono quelle suggerite dall’OMS, ma non si possono certo paragonare a quelle attuate dal governo cinese, che ha messo in quarantena con provvedimenti molto stringenti e metodi sanzionatori oltre 50 milioni di persone». Dunque, stando alle parole di Palù, l’Italia – dopo un primo “pseudo-buonismo” dovuto al timore di un atteggiamento discriminatorio nei confronti delle persone provenienti dall’area focolaio dell’epidemia – “sta facendo quanto possibile”, ma “altri Paesi europei no”.
«Ci si attenderebbe dall’Ue un’armonizzazione dei provvedimenti»
«Ci si attenderebbe dall’Unione europea un’armonizzazione dei provvedimenti igienico-sanitari – dice il professore del padovano – considerato che il contagio è ormai globale e che il primo caso molto probabilmente è tedesco. Andrebbe poi considerato che in Europa hanno sede l’OMS e il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie». Necessaria dunque «Una decisione di carattere politico, che dimostrerebbe al mondo e agli europei che l’Europa è veramente un’unione. Gli Stati membri sono indipendenti per quanto riguarda le misure sanitarie, ma questa epidemia non ha confini».
Vaccino anti-coronavirus: i tempi
In attesa di farmaci specifici o vaccini contro il coronavirus e di progressi scientifici volti a comprendere tutti i “meccanismi” del virus, è indispensabile – spiega Palù – «usare tutti le stesse precauzioni ufficialmente raccomandate (isolamento, quarantena, misure di protezione individuale, evitare i luoghi affollati e non intasare i Pronto Soccorso, mantenere una distanza di sicurezza, lavarsi frequentemente le mani etc.)». I tempi per il vaccino, per quanto brevi dato il “caso di urgente necessità”, si stimano in “minimo 1-2 anni, saltando alcune fasi cliniche (adottando l’impiego sperimentale come fatto per il vaccino anti-Ebolavirus)”.
«Il problema – precisa il professore – sono i tempi per avere a disposizione dei prodotti da usare sull’uomo, che necessitano di preventive prove su cavie da esperimento e di volontari per stabilire la non tossicità, l’oncogenicità, per accertare la dose efficace e comparare il nuovo prodotto con controlli o altri preparati consimili. Gli studi clinici impiegano migliaia di individui e devono rispettare procedure ben stabilite e standardizzate».