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Coronavirus fase 2, Lopalco: “Ecco i 5 fattori da prendere in considerazione”

20/04/2020 12:58 - Aggiornamento 20/04/2020 15:51

Coronavirus fase 2. Per la riapertura, intesa come avvio di un graduale ritorno alla normalità, occorre tenere in considerazione almeno 4-5 fattori e non solo il valore R0 che indica quante persone infetta un paziente positivo al nuovo coronavirus. E’ la tesi di Pierluigi Lopalco, docente di Igiene all’università di Pisa e coordinatore della task force per le emergenze epidemiologiche della Regione Puglia, in un intervento sul portale Medical Facts del virologo Roberto Burioni.

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Coronavirus fase 2: quali sono i fattori da prendere in considerazione per la riapertura

“Prima di allentare il lockdown e tornare progressivamente a una ripresa delle attività produttive e sociali, il Governo dovrebbe analizzare alcuni indicatori. Ecco quali”, elenca Lopalco: “Quanti tamponi per 1.000 abitanti si riesce a fare in una settimana? Quanti tamponi sul totale risultano positivi? Qual è la quota di casi di Covid-19 registrati dal sistema di sorveglianza di cui non si conosce l’origine? Quanti focolai di trasmissione (catene di contagio) sono ancora aperti? Qual è la quota di casi Covid-19 che giungono alla segnalazione per la prima volta come ‘casi gravi’? Esiste un sistema di sorveglianza di ‘tosse e febbre’ diffusa sul territorio attraverso pediatri di famiglia e medici di medicina generale che segnali precocemente eventuali focolai epidemici? Esiste un sistema di allerta che in tutti gli ospedali del territorio sia in grado si segnalare un eccesso di ricoveri di malattia respiratoria acuta grave?”

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La differenza tra sistema di sorveglianza e registro di malattia

“E’ evidente la necessità che il lockdown debba allentarsi”, osserva Lopalco, e “sembrerebbe che la cosiddetta fase 2, ovvero la ripresa progressiva delle attività produttive, ma anche sociali, si stia avvicinando. Ma sulla base di quali informazioni il Governo dovrebbe decidere di modificare le attuali misure di distanziamento sociale? Certamente non possiamo aspettare che tutte le regioni italiane arrivino a notificare in un tempo ragionevole zero casi”, osserva l’epidemiologo che aggiunge “speriamo! Se infatti si arrivasse in breve tempo da qualche migliaio di notifiche a zero segnalazioni, vorrebbe dire una cosa sola: che il sistema di sorveglianza non funziona”.

“Nello specifico del sistema di sorveglianza Covid-19 – ricorda l’esperto – bisogna tenere a mente che quello che si notifica sono le segnalazioni dei tamponi positivi da parte dei laboratori. Chi ha l’infezione da Sars-CoV-2, ma risulta negativo al tampone, non viene segnalato. Chi ha una polmonite e non gli si fa il tampone non viene segnalato. Chi muore e non aveva fatto il tampone non viene segnalato”. In questo senso, “un sistema di sorveglianza” è “ben diverso da un registro di malattia” che “ha come caratteristica principale la completezza”. “Capite bene, dunque – ribadisce Lopalco – che anche avere zero casi notificati in un certo territorio non vuol
dire certo che il virus non sia presente su quello stesso territorio.

Coronavirus lombardia infermiera

Coronavirus fase 2: la chiave per ripartire è la sorveglianza epidemiologica

Ma allora “come possiamo allora fidarci dei numeri? Ha senso fare curve, modelli, proiezioni, calcoli di R0 se ci basiamo su questi numeri? La risposta è si, ma bisogna essere consapevoli che il fattore di sottostima esiste, può essere importante, e bisogna quindi “dare a queste stime e modelli il giusto peso”. In conclusione, secondo l’epidemiologo “in questo periodo che precede appunto la fatidica fase 2 sarebbe necessario raccogliere informazioni dettagliate sulla capacità dei diversi territori di condurre un’accurata sorveglianza epidemiologica. Solo allora saremmo sicuri che i dati rivenienti dal sistema di sorveglianza ci forniscono informazioni affidabili”. >> Tutte le notizie sul coronavirus