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Coronavirus Italia, studenti Erasmus abbandonati a un destino sconosciuto

20/04/2020 20:22 - Aggiornamento 20/04/2020 21:23

Tra le polemiche sulla fase 1 e 2, sul cosa riaprire e cosa no, ci stiamo dimenticando di riportare in Patria tanti ragazzi che studiano all’estero. Ragazzi che sono stati abbandonati a loro stessi, in balia di un destino che non conoscono. E l’Italia, durante il coronavirus, gli sta girando le spalle. Siamo stati contattati da Giulia, una ragazza di Cervia che al momento si trova a Santiago de Compostela, in Spagna. Lei, come tanti altri, per riabbracciare (metaforicamente) la sua famiglia è costretta ad affrontare ore, giorni interi di viaggio. Senza l’aiuto del suo Paese.

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Coronavirus, gli studenti Erasmus dimenticati dal governo

Confesso che non ho il cuore in pace per questa decisione perché so che avrei potuto portare fino alla fine il mio dovere civile di non muovermi, ma davvero lo stress è diventato ingestibile e psicologicamente non ho più retto”. La storia di Giulia è uguale a quella di centinaia di ragazzi sparsi per tutto il mondo. Giovani che hanno deciso di studiare all’estero, lontani da casa nel bene e nel male. Già di per sé quella di partire, e di stare a km e km da casa per svariati mesi, non è una scelta semplice. E se questo si scontra anche con una pandemia mondiale la situazione rischia di diventare indomabile.

“Inizialmente io ho scelto di rimanere qui. Mi sono fermata per non espandere il contagio, e perché speravo di recuperare qualcosa del mio erasmus.- racconta Giulia- Ma dopo un mese in 10 metri quadrati di stanza ho iniziato a patire parecchio. L’idea di essere lontana da casa, con nessuno che potesse aiutarmi nel caso in cui mi fossi ammalata mi spaventava molto. Più di tutto, mi ha preoccupata il fatto che l’Università di qui ci ignorasse completamente. Per questo un po’ alla volta tutti se ne sono andati, e sono rimasta sola con la mia coinquilina. A quel punto lo stress di tutti i fattori sommati è diventato incontrollabile.

Ho iniziato a informarmi e ho deciso di valutare l’idea di ripartire sapendo che ora, a differenza di quando c’è stato lo spostamento di massa iniziale, sono aumentate le misure di sicurezza. Ho trovato dove fare l’isolamento volontario dei 14 giorni senza mettere in pericolo i miei genitori una volta rientrata. Ho deciso che era un rischio che potevo prendermi, mettendo in pericolo solo me stessa”.

Coronavirus Italia, la storia di Giulia: studentessa Erasmus in Spagna

“Quando ho avuto tra le mani la possibilità di tornare a casa, verso un’Italia che sta gestendo molto meglio la situazione del coronavirus rispetto alla Spagna, trasmettendo molta più sicurezza e parlando già di un futuro, non ho avuto più dubbi. Questo, anche se è una settimana che non dormo più di 4/5 ore a notte per stress e sensi di colpa”.

Quella che ci racconta Giulia non è solamente la paura di potersi ammalare. E’ soprattutto la frustrazione di sentirsi abbandonata da un sistema che dovrebbe proteggerla. E che invece ha lasciato lei, e centinaia di altri ragazzi, in balia di se stessi. “Noi studenti italiani Erasmus in Spagna abbiamo visto arrivare l’ondata grazie alle notizie da casa. Abbiamo iniziato d’anticipo ad adottare tutte le misure già prese in Italia. Poi è arrivata: chiusura immediata delle università, delle attività non considerate indispensabili e divieto di uscire in strada, il tutto in due giorni.

Quasi tutti gli studenti in scambio a questo punto hanno ricevuto un’email dalle proprie università con la possibilità, se non l’imposizione, di rimpatriare il prima possibile, prima della chiusura delle frontiere, siccome in Spagna la situazione stava peggiorando notevolmente”.

La difficoltà degli studenti Erasmus durante il coronavirus

“Tutto, però, nella completa incertezza riguardo a questioni come borse di studio, contratti d’affitto ed esami nella sede ospitante. E’ stata una decisione da prendere su due piedi. La stessa proposta poi è arrivata anche per noi, con un paio di voli da diversi aeroporti e traghetti da Barcellona. Per noi la scelta è stata diversa, perché dovevamo dirigerci verso il fulcro dell’epidemia. Molti hanno scelto di partire subito e tornare dalle proprie famiglie. Io e tanti altri abbiamo deciso di rimanere, nel mio caso a Santiago de Compostela, nella regione più a Nord-ovest della penisola. Da un lato perché speravamo che si poteva contenere la situazione, dall’altro per coscienza civile, per evitare di aumentare la diffusione del virus e portarlo alle nostre famiglie.

Inizialmente ho cercato di essere razionale: non ho problemi con la lingua, ho un’assicurazione sanitaria, una buona salute, sono in una regione con non troppi casi. Da quel momento è passato più di un mese di quarantena. Ho cercato di essere positiva, rispettando tutti i divieti e dedicandomi allo studio, per il quale il tempo non è mai abbastanza. Ho cambiato idea quando, tornando dal supermercato, ho visto a pochi metri da casa mia un’ambulanza portare via un palese caso di COVID-19. Una ragazza circa della mia età. Lì ho capito che aggrapparsi alla falsa speranza di essere giovani e in salute è inutile”.

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Coronavirus Italia, l’illusione di voli per rientrare mai messi in commercio

“Ho iniziato a soffrire sempre di più le limitazioni di spazio che un appartamento di studenti impone, trovando sempre meno stimoli per scegliere di rimanere. Tutti quelli che conoscevo stavano tornando o erano tornati. Qui non ho nessuna vista sull’esterno, solo un balcone interno dove prendere un po’ d’aria quando non piove (quasi mai a Santiago). Perció ho inizato a informarmi sui voli speciali di ritorno, ma l’unico volo in partenza da Madrid sarebbe partito il giorno successivo, lo scorso 6 aprile, e non avrei avuto tempo per raggiungere l’aeroporto”.

A quel punto Giulia si è scontrata con un uragano di false speranze. Una serie di voli resi disponibili e noti tramite il sito della Farnesina, ma poi mai realmente messi in commercio, o riempiti nel giro di pochi minuti. E questo è proprio il modo in cui l’Italia ci ha dimostrato di gestire il coronavirus: non fornire risposte. “Controllando assiduamente la pagina dell’ambasciata è apparso un altro volo in partenza da Madrid.- continua la lettera di Giulia- Un diretto Barajas-Roma Fiumicino, previsto per il 17 aprile con la compagnia Alitalia. Ho controllato la pagina ogni ora fino al 15 aprile ma nulla, quel volo non è mai stato reso disponibile”.

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Coronavirus Italia, voli di rientro dalla Spagna a più di 600€

“Esistono dei voli di rientro diretti ma sono dagli aeroporti di Valencia, Malaga e Barcellona, a un minimo di 1000 km da dove mi trovo attualmente. Sono irraggiungibili tramite i pochi voli interni ancora attivi per mancanza di coincidenze e troppo distanti per arrivarci tramite i mezzi via terra. Ho chiamato più di una volta l’Ambasciata italiana a Madrid e mi hanno sempre confermato che il volo sarebbe partito, seppur occupato per un terzo della disponibilità totale, al fine di mantenere le distanze di sicurezza. Ho anche chiamato Alitalia ma l’operatrice in questione non sapeva di cosa stessi parlando.

Sta di fatto che i voli da Valencia, Malaga e Barcellona sono stati attivati (con prezzi oltre i 600€ a biglietto), ma non quello in partenza da Madrid, né è stata data una spiegazione. I voli d’emergenza sono stati aggiornati e ci sono possibilità di rientro fino a fine mese, ma nessuna da Madrid. Io ho trovato un’alternativa: viaggio notturno in autobus Santiago de Compostela-Madrid, 10 ore di attesa in aeroporto e volo da Madrid a Francoforte. Poi da lì a Milano Malpensa, dove verrà un mio genitore a recuperarmi con l’auto adattata a isolare per me i sedili posteriori, diretta verso un appartamento separato per le due settimane di isolamento obbligatorio.

30 ore totali di viaggio e di esposizione al rischio di contagio non necessarie. Questi ultimi giorni sono sottoposta a un’ angoscia costante e alla paura che qualcosa possa andare storto. Scegliere di tornare è stata una delle decisioni più ragionate e difficili che abbia mai preso, ma non mi è di certo stata resa più semplice”.

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Coronavirus Italia, Alberto e Paolo hanno scelto di restare in Spagna

Quella di Giulia, però, non è l’unica storia. Ce ne sono tanti altri, e a differenza sua alcuni hanno scelto di rimanere nel Paese che li sta ospitando. Alberto, un ragazzo che studia in Spagna medicina, racconta che lui all’inizio aveva deciso di rimanere perché la situazione era ancora sotto controllo. Soprattutto se confrontata con la sua città natale: Bergamo. In più, come ha sottolineato Giulia, per tornare a casa era necessario passare per Madrid, l’epicentro spagnolo del Covid-19. Durante la quarantena, però, le preoccupazioni e la solitudine a un certo punto hanno avuto la meglio. “Fortunatamente mi trovo bene con i miei coinquilini. Fossi stato completamente solo forse sarei tornato. Inoltre grazie alla tecnologia, le videochiamate e i messaggi, si riesce a combattere la solitudine, anche se ovviamente non è come vedersi dal vivo”.

Alberto sottolinea un altro problema: l’università in cui sta studiando non ha preso nessuna decisione riguardo a come saranno svolti gli esami, e questo mette in seria difficoltà gli studenti. Soprattutto quelli in scambio.

Anche Paolo, un altro studente di medici proveniente da Taranto, ha scelto di rimanere in Spagna. “Sono ormai diverse settimane che siamo in lockdown. Io ho la fortuna di stare in una casa molto grande con coinquilini gentili e disponibili. Tuttavia non è una situazione facile. È difficile tenere alto l’umore non vedendo la fine di queste misure. In più l’Università di Santiago non sta gestendo bene l’emergenza. A oggi non abbiamo un calendario esami e non abbiamo idea di come e se la sessione, che dovrebbe essere già iniziata, si svolgerà. E quest’ultimo aspetto per me è veramente frustrante, perché non mi lascia nemmeno la serenità di pianificare lo studio per dare gli esami e evitare di perdere il semestre”.

La questione però non è chi riesce ad affrontare la pandemia lontano da casa e chi no: è che l’Italia dovrebbe tutelare i suoi studenti all’estero. E invece non lo sta facendo. >>Tutte le notizie di UrbanPost