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«Coronavirus? Uno tsunami. La sensazione più drammatica? Vedere i pazienti morire soli»

12/03/2020 18:13 - Aggiornamento 12/03/2020 18:16

«L’ultimo è stato stanotte. Lei era una nonnina, voleva vedere la nipote. Ho tirato fuori il telefonino e gliel’ho chiamata in video. Si sono salutate. Poco dopo se n’è andata. Ormai ho un lungo elenco di video-chiamate. La chiamo lista dell’addio. Spero ci diano dei mini iPad, ne basterebbero tre o quattro, per non farli morire da soli», con queste parole la dottoressa Francesca Cortellaro, primario del pronto soccorso dell’Ospedale San Carlo Borromeo, a Milano, racconta a ‘Il Giornale’ la situazione drammatica con cui si sta confrontando da settimane. Dichiarazioni che dicono tutto, che parlano dell’emergenza del coronavirus, che ha messo in ginocchio il paese.

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«Coronavirus? Uno tsunami. La sensazione più drammatica? Vedere i pazienti morire soli»

«Sai qual’è la sensazione più drammatica? Vedere i pazienti morire da soli, ascoltarli mentre t’implorano di salutare figli e nipotini», ha proseguito la dott.ssa Francesca Cortellaro. Una viavai di volti coperti, guanti e camici affollano gli ospedali italiani. In trincea ci sono medici, infermieri, Oss: sono loro gli angeli della nostra epoca, eroi di una battaglia che speriamo di vincere. Il professor Stefano Muttini, primario della rianimazione, senza giri di parole ha spiegato: «Ho l’impressione di esser finito in un tsunami che, per quanto lotti, non riuscirò mai a fermare. Il problema principale è inventarsi nuovi posti. La mia rianimazione aveva 8 letti. Poi sono riuscito ad aggiungerne 7, poi altri 8 e infine 16, arrivando a 31 posti. Domenica mattina ero felicissimo di aver trovato 6 nuovi posti, ma a mezzogiorno me li sono ritrovati tutti occupati. Per un attimo mi son sentito sconfitto, inadeguato».

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«’Ma allora è vero? Sono grave?’. Ho incrociato quel suo sguardo da cane bastonato e ha capito»

All’inviato de ‘Il Giornale’ il professor Muttini ha poi confidato: «Questo dover rincorrere l’emergenza pur con tutto l’aiuto che ci viene garantito crea uno stress emotivo non indifferente. Quando ho chiesto alla mia squadra chi se la sentisse di andare a lavorare nel reparto Covid si sono tutti offerti volontari. Ne sono orgoglioso, ma sono consapevole che per molti saranno esperienze assai dure. Alla fine tutta la nostra categoria si troverà profondamente provata per il periodo che stiamo affrontando». Altrettanto commovente la testimonianza del dottor Carlo Serini: «Faccio il rianimatore da anni, ma ora è diverso. Stanotte mi sono avvicinato a un anziano. Gli avevamo messo il casco per la respirazione. Lui si guardava intorno spaurito. Mi sono chinato e lui ha sussurrato: ‘Ma allora è vero? Sono grave?’. Ho incrociato quel suo sguardo da cane bastonato e ha capito. Stavolta non avevo risposte».

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