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Coronavirus Volvera, saluta i quattro figli in videochiamata e muore: la lettera dell’infermiera

01/04/2020 12:17 - Aggiornamento 01/04/2020 12:31

1 aprile 2020 – Coronavirus Volvera (Torino). Voleva vedere i figli, l’ultimo desiderio prima di morire di un’anziana ricoverata in ospedale positiva al Covid-19. Un’infermiera, sua concittadina, ha voluto accontentarla con una videochiamata. A raccontare questa commovente storia il sindaco della cittadina, Ivan Marusich. Un modo per invitare tutti quanti a riflettere, un’occasione per ringraziare “i medici, infermieri, Oss, operatori nel settore sanitario, per quanto stanno facendo instancabilmente, rischiando di persona”. «Questa sera ho ricevuto un lungo testo scritto da una nostra concittadina, una volverese. In questi giorni se ne leggono diverse di testimonianze che arrivano dalla prima linea e qualcuno pensa che sia tutto inventato o gonfiato per fare notizia. Questa, invece, è una testimonianza diretta, scritta proprio per noi, (…) per sensibilizzarci», comincia così il post toccante del primo cittadino. «Siamo un paese che sa solo lamentarsi per qualsiasi cosa, mai contenti di nulla. Sembra che la quarantena sia un castigo anziché una protezione per ognuno di noi», scrive l’infermiera ed è soltanto uno dei passi più incisivi.

Volvera

Coronavirus Volvera, saluta i quattro figli in videochiamata e muore: la lettera dell’infermiera

«Buonasera sig. Sindaco, lavoro in ospedale, le scrivo perché, da cittadina Volverese vorrei descriverle una giornata tipo. Una come tante, in questo periodo. (…) Che bello essere chiamati angeli… Ma chissà se poi lo siamo davvero. È un sabato mattina di una settimana di allerta Covid-19. Finalmente un giorno di riposo dopo tanto lavoro. Finalmente puoi dedicarti alla famiglia. Per te la quarantena non esiste, non esiste il divieto ad uscire… non è mai esistito. Tu devi lavorare, sei preziosa… Dicono. E invece no, niente riposo. Arriva la chiamata. Si deve andare. C’è bisogno di coprire turni. Il lamento è d’obbligo, non vorresti, ma si fa. Mentre ti prepari, rifletti che marzo non è stato affatto clemente: turni di 12 ore, ferie annullate, riposi… Cosa sono i riposi?», racconta l’infermiera volverese, che narra poi a quali livelli di stress sono sottoposti i nostri sanitari.

Coronavirus Volvera

«Ti prende la mano: ‘Amore, sei mamma?’. ‘Si, di due ragazzi’. ‘Allora puoi capire cosa sto provando?’»

«Suona un campanello. Ti sporgi alla camera interessata, chiedi il motivo della chiamata, rassicuri che presto entrerai, e vai a vestirti. La vestizione è lunga, ci si deve bardare molto bene, non si possono commettere errori di trascuratezza. Entri dalla paziente, la conosci… la saluti. Ha un casco sulla testa, si chiama c-pap. Serve per respirare meglio… Non ha molte speranze e il monitor al quale è collegata ne dà conferma. Ma la paziente è cosciente, lucida e orientata nel tempo e nello spazio, ma soprattutto sa che sta per morire. Lo sa, lo percepisce… lo sente. Parli un po’ con lei.
Non mangia da giorni. Questa mattina chiede la colazione. Ha un diabete non controllato e vuole due fette biscottate con la marmellata. Sarà certo il diabete il suo peggior nemico ora? E riferisci alla collega di passarteli. Quello sguardo implorante ti uccide. Distogli ogni tanto gli occhi da lei per non morire dentro… Mentre le sistemi i cavi dei parametri vitali, lei ti prende la mano: ‘Amore, sei mamma?’. ‘Sì, di due ragazzi’. ‘Allora puoi capire cosa sto provando?’».

Coronavirus Volvera

Coronavirus Volvera, la videochiamata ai figli: l’ultimo saluto

Poi la richiesta, quella preghiera a cui non puoi dire di no: «Ho 4 figli… sono sempre stati tanto mammoni. Un rapporto bellissimo, anche perché gli ho fatto da madre e da padre, visto che sono rimasta vedova da giovane… Non ho paura di morire, non vorrei solo soffrire. Ma un giorno, uno dei miei figli è venuto a trovarmi e non lo hanno più fatto entrare. È stato obbligato, non una scelta. Non ho potuto vedere più i nipoti, le nuore… Nessuno. Io qui, loro a casa. Non ho potuto dir loro quanto bene gli voglio…». Le telefonate di pochi minuti non bastano, non accorciano le distanze. Poco dopo entra il medico che spiega alla signora che dovrà essere intubata presto: non le resta molto da vivere. «Uno dei figli chiede di poterla vedere per un ultimo, breve saluto. Non è possibile… il Covid-19 non decide su chi posarsi, si insinua su chiunque… Il medico esce dalla stanza. La signora piange disperata. Mentre è ancora al telefono con il figlio, il figlio piange con lei, che ha sempre quello sguardo implorante, come volesse chiederti di fare qualcosa…». A questo punto l’infermiera si fa passare il telefono non proprio ultimo modello, chiede al figlio di raggrupparsi con gli altri tre, di proteggersi con le mascherine, per fare in fretta una videochiamata sul suo numero di cellulare. Lo fa perché non è soltanto un operatore, ma anche una mamma, una figlia.

«I suoi effetti personali messi in un triplice sacco nero andranno inceneriti»

«Vi farò vedere mamma. È poca cosa, ma almeno non sarà una cosa interrotta di netto, e la potrete vedere. Gli dici che sarai lì altre 10 ore e di richiamare più volte se non rispondo subito… Non passa neanche un’ora. La collega dice che dalla borsa sta squillando il tuo telefono… Tu sei sempre vestita e sempre in quella stanza. Non sei mai uscita. Le chiedi di prendere il cellulare, metterlo in un sacchettino, disinfettarlo e passartelo. Apri la videochiamata: tutti e quattro i figli lì. La paziente non se lo aspettava ed è felice come una Pasqua e tu con lei. Si parlano un bel po’, si raccontano, si dicono ti amo…». Quanta tristezza nei nostri cuori: «La chiamata dura circa mezz’ora ed è come se un cerchio si fosse chiuso, quello che doveva essere è stato. Lei aveva resistito solo per loro, per vederli, per salutarli. (…) Ti prende la mano, ti dice grazie, veglierò su di te, per quello che hai fatto. E fai fatica a non piangere. La paziente si spegne. Decidi di uscire e lasciare ai colleghi il resto. E vedi che, come le procedure prevedono, la cospargono di disinfettante, la avvolgano in un lenzuolo e la portino in camera mortuaria. Sola, sola. I suoi effetti personali messi in un triplice sacco nero andranno inceneriti». Doloroso pensare che la vita di qualcuno, i suoi affetti, quello che è stato, finisca lì, in un sacchetto. Quando arriva l’agenzia delle pompe funebri c’è solo uno dei figli, a debita distanza. Quella videochiamata l’ultimo saluto alla madre. E si chiude così “un diario dalla prima linea, quella umana, del cuore”.

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