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Covid e salute psicologica: il dolore inascoltato degli “invisibili” [INTERVISTA]

19/11/2020 08:00

La salute psicologica, trascurata, sottovalutata. Purtroppo ancora oggi viene erroneamente considerata una questione di poco conto. Eppure il male e/o il bene della psiche, nel senso etimologico del termine greco ψυχή ‘soffio’, ‘respiro vitale’, ‘anima’, sono indissolubilmente legati a quello fisico. Figlia di un retaggio culturale che concepiva la malattia mentale come una ‘colpa’, qualcosa da nascondere e silenziare, questa cattiva abitudine è ancora largamente diffusa nel nostro Paese.

L’emergenza sanitaria che stiamo vivendo ci ha sbattuto in faccia, (ri)portandole in auge, tutte le divisioni ed i particolarismi locali che da sempre connotano l’Italia e le sue intrinseche contraddizioni. Così, all’improvviso, il Covid-19 ha amplificato – ponendole sotto la lente di ingrandimento – le annose fallacie del nostro sistema sanitario (e non solo), rendendo plasticamente e drammaticamente evidente tutta una serie di problematiche legate alla Sanità, mai davvero affrontate in maniera concreta da chi rappresenta le istituzioni.

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Image Credits Pixabay

Il grido di dolore degli ‘invisibili’

Stiamo vivendo un’emergenza sociale che si fa di giorno in giorno più preoccupante. Chi si sta davvero occupando del dramma psicologico vissuto in primis dai malati di Covid ricoverati in ospedale? Chi della solitudine, alienazione e profondo senso di disagio che si trovano a vivere i positivi, sintomatici e non, confinati nelle proprie case? In che misura le Istituzioni stanno lavorando per fronteggiare questo spinoso problema e garantire il diritto alla salute anche psicologica?

UrbanPost ha deciso di dare voce al grido di dolore di migliaia di persone che stanno vivendo questo dramma. E l’ha fatto interpellando una persona competente in materia ed impegnata sul campo per dare sostegno a chi sta soffrendo in silenzio. A chi è ammantato da un senso di abbandono che la difficoltà di mettersi in contatto con le Asl locali e l’isolamento domiciliare, ai tempi del Covid, rendono insopportabile e lacerante.

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L’intervista al dottor Mario Sellini, segretario generale di Aupi

Abbiamo avuto il piacere di intervistare il dottor Mario Sellini, psicologo nonché Segretario generale di Aupi (Associazione Unitaria Psicologi Italiani) e Presidente di Form-Aupi, società scientifica di psicologia.

L’esperto con le sue parole ci ha fornito una impietosa fotografia dell’Italia colpita dal Covid. “La situazione è in verità molto peggiorata rispetto alla scorsa primavera, quando siamo stati tutti convinti a rimanere a casa, probabilmente perché trattandosi di un evento totalmente nuovo, imprevisto, è come se da cittadini avessimo dato fiducia a chi ci proponeva di restare in casa, dandoci indicazioni sul piano tecnico-scientifico come hanno fatto il governo e i nostri amministratori […]”.

In piena seconda ondata pandemica, però, le cose non stanno più così. Sono cambiate in peggio: “Già un secondo episodio è in realtà molto peggiore del primo, perché se inizialmente forse ci eravamo illusi, anche se ci avevano detto che una nuova ondata si sarebbe potuta ripresentare, avevamo creduto d’estate di averla scampata. Le ‘ricadute’ sono sempre più gravi e dolorose del primo episodio, ecco. Noi stiamo vivendo questa fase; una ricaduta molto pesante sul piano della tenuta psicologica della intera popolazione. Poi è chiaro che ciascuno di noi reagisce a modo suo”.

“Dall’inizio della pandemia sono più di un milione quelli che risultano contagiati, però una gran parte di essi – oltre il 60% – non ha avuto sintomi e quindi lo ha vissuto abbastanza tranquillamente sotto l’aspetto fisico ed organico. Una percentuale minima, circa 40mila (ma è sempre una cosa grave) sono deceduti, e un’altra parte ha avuto una sintomatologia più o meno seria”. 

Salute psicologica, questa sconosciuta

Per quanto riguarda l’aspetto psicologico, invece, qual è la sua analisi? Abbiamo chiesto al dottor Sellini, che ci ha risposto così: “Se questi dati li trasportiamo sull’intera popolazione, e li trasferiamo dalla sfera organica a quella psicologica, vediamo che il meccanismo è sostanzialmente identico. Tutti noi sopportiamo questo stress causatoci dalla pandemia, però solo alcuni riescono attraverso le proprie risorse interiori e capacità individuali a reggere il contraccolpo psicologico. Altri invece non ce la fanno e rischiano dei danni seri e duraturi dal punto di vista psicologico”.

C’è chi ha vissuto – o sta vivendo – la malattia come una ‘colpa’ “per via di questo ‘stigma’ dell’untore che si è portato appresso …”. L’isolamento è stato spesso vissuto in totale solitudine dai positivi al Covid. Parliamo di “almeno 40-45mila defunti ed i rispettivi nuclei familiari che hanno subito la perdita improvvisa dei loro congiunti” soprattutto nella fase inziale. Non hanno potuto accompagnarli neppure per “l’estremo saluto”. A loro non è stato dato nemmeno il tempo di elaborare il lutto. Stiamo parlando di “centinaia di migliaia di nostri concittadini che stanno vivendo questo dramma”.

C’è poi l’angoscia di chi, positivo e senza sintomi, è costretto a stare in isolamento domiciliare “e come gravità siamo più o meno al livello dei primi. Sono persone che hanno vissuto un isolamento anche psicologico, con l’idea di essere addirittura potenziali ‘untori’ e di aver contagiato, se genitori, i propri figli, ad esempio”. La difficoltà di mettersi in contatto telefonico con le Asl, prenotare per sottoporsi ad un tampone, avere l’esito dello stesso … sono tutte fasi di una trafila estenuante che mette a dura prova la resistenza psicologica dei malati e delle loro rispettive famiglie. “E poi questa solitudine e l’incertezza del futuro, sia dal punto di vista sanitario che economico, crea nei cittadini anche un profondo senso di rabbia”. Sellini ci ha raccontato di vere e proprie aggressioni fisiche subite da infermieri e medici mentre danno assistenza.

Ad essi si aggiunga la inconsapevole sofferenza degli studenti più giovani che non vanno a scuola, privati del sacrosanto diritto alla socializzazione, costretti a fare la DAD da casa per ore davanti allo schermo di un pc “ma il collegamento ad internet provoca dipendenza. E c’è l’isolamento, che sì ti mantiene in contatto con il mondo, ma in realtà sei solo”.

“Siccome si tratta di una sofferenza poco visibile, nessuno o pochi se ne rendono conto; tutti ne parlano ma, concretamente, dal punto di vista delle istituzioni si fa poco o niente. Ci sono alcune aziende sanitarie che attivano dei servizi di supporto psicologico al personale medico ed infermieri impegnati in prima linea nelle strutture ospedaliere. Però sono iniziative sporadiche”. Non c’è un modello di intervento capillare sul nostro territorio nazionale. 

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L’importanza dello psicologo in questo drammatico momento storico

Quanto è importante la figura dello psicologo in questo drammatico momento storico? Qual è il contributo che dà a chi sta male? “Le cose che si possono fare sono diverse e vanno distinte in base al target di riferimento. Gli operatori sanitari: rispetto alla prima fase della pandemia, quando venivano definiti ‘eroi’, adesso la considerazione verso il loro lavoro è molto diminuita. A loro bisogna garantire un supporto psicologico che abbia come obiettivo il recupero delle energie psichiche che vanno disperse nel corso della giornata lavorativa. Tante le tecniche per intervenire, tra cui i gruppi e i colloqui individuali ovviamente per chi ne ha più bisogno”.

“Per chi è costretto all’isolamento domiciliare ed è, di fatto, sano, in alcune realtà, ad esempio in alcune aziende della Lombardia, hanno previsto l’intervento dello psicologo che telefona ai pazienti assegnatigli. Un intervento di questo tipo può fare molto: soprattutto quando si riceve la telefonata e non quando la si fa. E in base a ciò che emerge da questi contatti telefonici, il professionista decide se è necessario intervenire in altro modo oppure se questo tipo di contatto può essere sufficiente a tirare fuori le energie che ciascuno di noi ha.”.

“Poi un altro intervento che si sta realizzando riguarda le scuole. Il Ministro dell’Istruzione ha firmato un protocollo con il Consiglio nazionale dell’Ordine e ha stanziato circa 40 milioni di euro per l’assistenza e il supporto psicologico sia agli alunni che al personale docente e alle famiglie”. Progetto messo in standby perché, di fatto, le scuole secondarie di secondo grado hanno chiuso i battenti “ma è bene che almeno sia realizzato nella scuola primaria e secondaria di primo grado”.

In Italia c’è ancora tanto da fare

Un paziente che è ben orientato e che è messo nella condizione di poter comprendere, usare tutte le risorse ed energie che possiede, risponde meglio anche alla terapia farmacologica. “In Italia si contano sulle dita di una mano iniziative in questa direzione. Poco o niente si sta facendo per coloro che hanno perso i familiari […]. Purtroppo il servizio pubblico sta fronteggiando la pandemia con poche migliaia di psicologi attivi sul territorio nazionale, quelli in servizio nelle aziende sanitarie. Circa 6mila psicologi: queste sono le risorse con le quali bisognerebbe fronteggiare una pandemia che tocca milioni di persone. Nessuno fa il conteggio di tutti quelli che sono coinvolti da queste situazioni e che stanno soffrendo in silenzio.”. 

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Un’emergenza sociale molto preoccupante

Il dottor Sellini lancia un allarme che induce alla riflessione: “Se non si pongono in essere iniziative tali da limitare gli effetti negativi della pandemia, tra alcuni anni ci ritroveremo una generazione che presenterà problemi di non poco conto. Questa chiusura ed isolamento li pagheranno i nostri ragazzi, quindi la scuola deve rimanere assolutamente aperta”. Ad oggi le poche iniziative intraprese in Italia hanno avuto un carattere sporadico. Sono “non collegate tra di loro, manca da parte del Governo e delle Regioni una indicazione precisa su questa tipologia di interventi”.

Le USCA (Unità Speciali di Continuità Assistenziale), attivate dai medici di famiglia, prevedono l’intervento casa per casa di un medico, un infermiere ed anche uno psicologo che diano sostegno ai malati di Covid. Ma la loro presenza ed attività non sono diffuse capillarmente sul territorio nazionale. “Qualcosa si è realizzato in Sardegna e poco altro in giro per l’Italia. Anche laddove esistono le norme, le leggi, le indicazioni e i regolamenti, c’è una sottovalutazione enorme della situazione. Abbiamo una cittadinanza intera che è sull’orlo di una crisi di nervi”.

L’Aupi è impegnata già dallo scorso marzo a mettere in circolazione il suo programma e divulgare l’attività posta in essere in tutti questi mesi. Diffonde il suo messaggio nelle aziende, negli ospedali e attraverso tutti i canali di comunicazione a disposizione, affinché si sensibilizzino quante più persone nei confronti di una problematica che ci riguarda tutti da vicino. Nessuno escluso.