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Frase del giorno di Paolo Crepet: “Abbiamo costruito generazioni di giovani perfetti ma infelici”

23/12/2025 00:55

Paolo Crepet e la frase del giorno

Paolo Crepet è uno degli intellettuali italiani più riconoscibili e discussi degli ultimi decenni. Psichiatra, sociologo, scrittore e divulgatore, ha dedicato gran parte della sua attività allo studio dei cambiamenti sociali, educativi ed emotivi della società contemporanea. La sua voce si è affermata per la capacità di mettere in discussione modelli culturali che sembravano intoccabili.

Nei suoi libri, nelle conferenze e negli interventi pubblici, Crepet affronta temi centrali come l’educazione, la libertà individuale, il coraggio, la fragilità emotiva e la responsabilità personale. Le sue riflessioni non sono mai consolatorie: non servono a rassicurare, ma a far pensare, a scuotere, a riattivare lo spirito critico.

La frase del giorno è:

“Abbiamo costruito generazioni di giovani perfetti ma infelici.”

Una frase che nel tempo è diventata una delle più citate e discusse del pensiero di Crepet, perché coglie con lucidità uno dei paradossi più evidenti della società moderna.

Il significato di questa frase

Con questa affermazione, Paolo Crepet denuncia un modello educativo e culturale che ha progressivamente spostato l’attenzione dalla crescita interiore alla prestazione. Ai giovani viene spesso chiesto di essere impeccabili: preparati, controllati, performanti, sempre all’altezza delle aspettative.

In questo percorso, però, la dimensione emotiva viene sacrificata. La perfezione diventa un obiettivo misurabile, esterno, mentre la felicità resta sullo sfondo, quasi un dettaglio. Secondo Crepet, il risultato è una generazione apparentemente forte, ma interiormente fragile, incapace di tollerare l’errore, la frustrazione e il fallimento.

Non è l’errore a spaventare davvero, ma l’idea di non poterselo permettere.

Una critica al modello educativo contemporaneo

La frase si inserisce in una riflessione più ampia sull’educazione moderna, spesso orientata al controllo e alla protezione eccessiva. Nel tentativo di eliminare ogni ostacolo dal percorso dei giovani, si finisce per privarli di un’esperienza fondamentale: il confronto con il limite.

Secondo Crepet, la crescita personale non nasce dalla perfezione, ma dall’attraversamento dell’imperfezione. Senza errori, senza cadute, senza momenti di smarrimento, diventa difficile costruire un’identità solida e autentica.

La felicità, in questa prospettiva, non è l’assenza di problemi, ma la capacità di affrontarli.

Perché questa frase è ancora così attuale

A distanza di anni, questa citazione continua a colpire perché intercetta un disagio sempre più diffuso. Ansia, insicurezza e senso di inadeguatezza sono oggi molto presenti tra adolescenti e giovani adulti, nonostante – o forse proprio a causa di – un sistema che promette successo e stabilità attraverso la perfezione.

Crepet invita a cambiare prospettiva: non chiedere ai giovani di essere perfetti, ma di essere vivi, curiosi, capaci di desiderare. La felicità non è un traguardo standardizzato, ma un percorso personale, fatto di tentativi, errori e scelte.

Una frase che non offre risposte semplici, ma apre una domanda necessaria.

Il valore dell’imperfezione nella costruzione di sé

Uno dei temi centrali del pensiero di Crepet è il valore educativo della fragilità. Essere fragili non significa essere deboli, ma riconoscere la propria umanità. Accettare i propri limiti permette di sviluppare empatia, consapevolezza e capacità critica.

La perfezione, al contrario, rischia di trasformarsi in una gabbia. Un modello irraggiungibile che genera frustrazione e senso di fallimento continuo. Accogliere l’imperfezione significa restituire dignità all’esperienza umana nella sua complessità.

Ed è proprio questo il messaggio più profondo della frase: senza spazio per l’errore, non può esistere una felicità autentica.

Una riflessione che riguarda tutti

Sebbene la citazione faccia riferimento alle nuove generazioni, il suo significato coinvolge anche il mondo degli adulti. Genitori, educatori, istituzioni e società sono chiamati a interrogarsi sul tipo di aspettative che proiettano sugli altri.

Chiedere perfezione è spesso un modo per evitare il confronto con la complessità. Accettare l’infelicità come segnale, invece, può diventare il primo passo per costruire modelli più umani, più realistici e, paradossalmente, più sani.

Una frase semplice, diretta, ma capace di lasciare un segno duraturo.

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