“Ci trattano come criminali, tutti allo stesso modo. Non solo gli indagati, ma anche noi che siamo pesci piccoli”. Emanuele Rossi, uno degli operai della Funivia Stresa-Mottarone, è distrutto da quanto successo, ma non si sente in colpa. O meglio, non crede che la colpa possa essere attribuita agli operai. “Noi prendevamo gli ordini e basta”.
Funivia Stresa-Mottarone, l’operaio: “Noi prendevamo gli ordini e basta”
“Mi ero ripromesso di parlare solo con gli investigatori di questa storia, ma adesso che ho letto certe cose, mi è venuta voglia di dire la mia. Ci trattano come dei criminali, tutti allo stesso modo. Non solo gli indagati, ma anche noi operai che siamo solo pesci piccoli. Ho paura che vogliano indagare anche noi, ma facciano quello che devono. D’altra parte ci sono dei morti e la cosa mi devasta. Però io non potevo comportarmi diversamente, noi bloccavamo i freni quando ci veniva chiesto“, ha raccontato a Repubblica Emanuele Rossi, uno degli operai che stava lavorando quando si è verificato l’incidente sulla Funivia Stresa-Mottarone. Bisognava eseguire gli ordini, altrimenti poteva saltare il posto. “Ho un mutuo, mia moglie non lavora, se parli ti danno un calcio nel sedere e finisci sotto i ponti. Noi prendevamo gli ordini e basta”.
La verità è che gli operai non riuscivano a calcolare il rischio di quanto stessero facendo. “Non pensavamo di fare niente di così pericoloso. Altrimenti, scusi, su quelle cabine noi non ci saremmo mai saliti. E invece le prendevamo anche noi, nei giri di prova, a inizio o a fine turno”. Ma chi era incaricato di mettere i “ceppi” ai freni? “Più o meno a tutti. Chi in un turno e chi nell’altro, a tutti è capitato. Mai su nostra iniziativa: era sempre il caposervizio Gabriele Tadini che li metteva o ci chiedeva di farlo. Sono contento che lo abbia confessato, perchè è così: è stata una sua scelta, e si è preso le sue responsabilità, così è a posto con la sua coscienza”.
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Rossi: “Non siamo dei criminali”
Non è chiaro, però, se fosse una scelta condivisa con il gestore Luigi Nerini e il direttore dell’esercizio Enrico Perocchio. “Non lo so, io non servivo le loro conversazioni. Adesso si stanno accusando a vicenda e io non so quale sia la verità. So solo che nel regolamento di esercizio sono loro tre le persone che hanno delle responsabilità, non noi operai. Ci sono due miei colleghi che sono stati i primi a intervenire per prestare soccorso, nessuno li ha neanche ringraziati. A uno di loro è morto un ragazzo tra le braccia ed è ancora sconvolto. E adesso veniamo trattati tutti come dei delinquenti”. Gli operai tanto quanto gli indagati.
L’intervista, poi, si è spostata sulle questione dei freni e della manutenzione. “Erano venute delle squadre di manutenzione, ma non avevo mai avuto la percezione che ci fossero problemi gravi. Io ero tranquillo. L’unica cosa che non andava era quella di viaggiare con questi ceppi, ma non è che ne parlassimo in continuazione come fosse una cosa scandalosa. La realtà è che non avevamo idea che potesse succedere una cosa del genere. Altrimenti non lo avremmo mai fatto. Sapevamo che era una cosa da non fare, da usare solo per le manutenzioni. Una cosa però è la teoria, un’altra è la pratica. Noi ci fidavamo del caposervizio, che è una persona davvero capace. E se lo diceva lui, eravamo tranquilli. D’altra parte io ho fatto l’alberghiero, cosa ne so di queste cose? Il caposervizio è perito, poi c’è l’ingegnere…”. C’è da considerare, poi, che non era contemplato alcun corso di formazione.
“Qualche cosa ci veniva detta a voce, ma mai un vero corso. D’altra parte in 19 anni mi hanno dato solo un paio di scarpe antinfortunistiche, le altre me le sono comprate io. E’ sintomatico di come andassero le cose, no?”, conclude l’operaio Emanuele Rossi. >> Tutte le notizie di UrbanPost