In Giappone un ragazzo di soli trentanni è stato condannato a morte per l’omicidio di 19 persone disabili. La difesa ha puntato sulla sua infermità mentale legato all’utilizzo della marijuana, ma è stato lui stesso a rivendicare gli omicidi. Una vicenda che lascia sgomento sull’intera popolazione, ma che riapre anche una questione alquanto spinosa ovvero come la società giapponese considera le persone affette da disabilità.
Giappone, processo a Satoshi Uematsu
Oggi, 17 marzo 2020, Satoshi Uematsu, 30 anni, è stato condannato a morte da un tribunale giapponese. Ultima parola su uno dei casi di cronaca nera più choccanti della storia recente del Giappone, Paese in cui i crimini violenti contro le persone sono molto rari. L’uomo ha accoltellato 19 persone affette da disabilità con la scusa di farlo per il bene della società. Secondo lui non avevano diritto di vivere. Si tratta di una storia che risale al 26 luglio 2016. Uematsu sale in auto e si dirige verso il centro Tsukui Yamayurien, alla periferia di Tokyo, dove ha lavorato per un periodo. Entra spaccando una finestra e inizia ad accoltellare gli ospiti nei loro letti. Ne uccide 19, tra i 19 e i 70 anni, ne ferisce 25, molti in modo grave. Poi si consegna a una stazione di polizia.
La pena di morte
L’uomo non ha mai negato il fatto. Qualche mese prima dell’attacco Uematsu aveva mandato una lettera al Parlamento giapponese, in cui dichiarava che avrebbe ucciso 470 disabili se fosse stato autorizzato a farlo. A seguito di quella lettera Uematsu era stato ricoverato in ospedale, salvo essere dimesso dopo due settimane. Il punto focale del processo è la sua sanità mentale legato al uso sproporzionato della marijuana. La sua difesa ha chiesto l’infermità mentale, ma lo stesso Uematsu ha dimostrato più volte di essere perfettamente cosciente di quello che stava facendo. Ha ribadito più volte che il suo era un gesto a favore della società. L’uomo è stato condannato alla pena di morte, eseguita per impiccagione, viene comminata quasi esclusivamente per omicidi plurimi. Lo scorso anno nel Paese sono state giustiziate tre persone.