Non è ancora chiaro se il governo Draghi sarà un esecutivo tecnico o politico. Probabilmente arriveremo a definirlo un ibrido, un mix tra i due. Un po’ sul modello di quello presieduto da Carlo Azeglio Ciampi nel 1993. Nessuna supremazia sui partiti, ma collaborazione. La formula vincente potrebbe essere proprio questa: chiarire che la politica non verrà commissariata, non ci sarà semplicemente un cambio di nome. Anzi: si punterà a un connubio tra una componente tecnica e una politica per creare, appunto, un governo di alto profilo.
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Governo Draghi, un esecutivo tecnico-politico?
Il 1993 il Paese era in un momento diverso. C’era Mani pulite, l’inchiesta che ha messo sotto processo un’intera classe politica. Era uno stato d’emergenza, sì, ma molto lontano da quello che stiamo vivendo ora. Le necessità, però, in qualche modo possono essere equiparate: anche oggi il presidente della Repubblica è stato costretto a convocare un uomo nuovo per uscire dall’epidemia ed evitare di cadere su un’occasione imperdibile, il Recovery Fund. Si fa riferimento al governo Ciampi perchè Draghi dovrà essere in grado di unire tecnici e politica, disinnescando però tutte le trappole che sono state poste durante la crisi. E poi dovrà affrontare la questione del Movimento 5 Stelle, che proprio non appoggerebbe un governo totalmente tecnico.
Portare avanti un esecutivo senza il sostegno del Movimento 5 Stelle sarebbe piuttosto incauto: sarebbe la prima volta in cui un governo nasce senza l’appoggio del gruppo parlamentare che detiene la maggioranza relativa. Anche per il Partito Democratico il tutto si trasformerebbe in un problema se non ci fossero i pentastellati, perchè significherebbe trovarsi a concedergli la fiducia da solo insieme a Lega e Forza Italia. Insomma, bisogna necessariamente unire esponenti delle professioni e delle istituzioni a figure politiche. Proprio per questo sembra che gradirebbe il ritorno di Paolo Gentiloni nel ruolo di ministro dell’Economia.
Un governo un po’ tecnico e un po’ politico per mettere d’accordo tutti
L’obiettivo, quindi, pare essere più quello di conservare il precedente patto di coalizione e allargarlo, che quello di snaturarlo. Sembra infatti che Draghi voglia aprire le porte anche al centrodestra, e che i democratici non sarebbero poi così contrari, visto il progetto di riuscire a replicare a Roma la cosiddetta coalizione Ursula che domina oggi il Parlamento europeo. Sta di fatto che la partecipazione grillina è una prerogativa per il Partito Democratico e per portare avanti la coalizione giallo-rossa. Ma bisogna considerare un’altra cosa: Giuseppe Conte non si è ancora espresso sul governo Mario Draghi. E alcuni sospettano che dietro le parole dure di Vito Crimi, in realtà, ci sia proprio il premier uscente.
Come se, in qualche modo, volesse “sabotare” l’esecutivo di scopo. Magari per riuscire ad andare a elezioni anticipate e cavalcare l’onda di consensi che è riuscito a gonfiare fino a questo momento. Un po’ a dire: se correte con me ora, pentastellati, molti di voi potrebbero salvarsi. Dopo un governo Draghi, invece, chi lo sa. Così come non è un caso che Draghi abbia parlato a lungo con Conte, tentando di ridimensionarne l’amarezza e proponendogli pure un coinvolgimento. >> Tutte le notizie di UrbanPost