L’Italia dopo il Coronavirus. “Risolleviamoci come quando costruimmo un paese libero” scrive oggi il presidente della Repubblica emerito Giorgio Napolitano sulle pagine del Corriere della Sera. Lo choc del coronavirus, con il suo pesantissimo carico di lutti, farà bene all’Italia. Vogliamo, dobbiamo essere ottimisti. Farà bene prima di tutto al nostro sentirci nazione. Uniti dalla sofferenza, uniti nelle restrizioni della libertà che molti di noi non avevano mai sperimentato. Uniti anche nell’uscita dal tunnel a partire da quell’ormai fatidico 4 maggio indicato come vera festa di Liberazione (seppur parziale) in questo 2020.
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Ma la ripartenza come sarà? Difficile, anzi, difficilissima. Il paese si è scoperto fragile nel suo pur articolato e ricco tessuto economico. Una fragilità dovuta ad inefficienze storiche del nostro sistema e a politiche che non hanno saputo mai dare uno stimolo reale all’economia, dalla fine del boom degli anni ’60 in poi. Politiche che non hanno saputo costruire paracadute efficaci per situazioni gravi anche solo la metà di quella generata dalla crisi del Covid-19. Certo, era difficile prevedere una pandemia a livello globale con conseguenze di questo genere. Eppure i segnali erano già arrivati diverse volte e i governi (non solo quello italiano), non ne hanno tenuto conto a dovere.
L’Italia dopo il Coronavirus: Keynes non basta
L’agenzia di rating Moody’s ieri, dopo aver misurato una drammatica esplosione per il debito pubblico italiano, ha anche affermato che da questa crisi spaventosa l’Italia potrebbe uscirne un forte “rimbalzo”. Bene, cosa vede Moody’s per affermare questo? Forse un netto cambiamento delle politiche economiche che abbiamo sperimentato negli ultimi 50 anni? Progressiva crescita del debito pubblico fino a livelli esponenziali, inefficienza, fisco sempre più pesante. Queste catene che già in tempi “normali” condizionavano la nostra crescita andrebbero eliminate. Non lo dicono le agenzie di rating, lo consiglia il buon senso. Occorre agire subito se vogliamo avere davvero un futuro.
E se la zavorra del debito pubblico resterà lì, almeno dobbiamo agire sugli altri anelli della catena che ci lega, per indebolirla il più possibile e liberare la “rinascita”. E’ chiaro a tutti, economisti e non, che Keynes non basti. Gli investimenti pubblici, magari finanziati attraverso strumenti europei che non accrescano le rigidità di bilancio (quindi non il Mes, con buona pace del ministro Gualtieri). Una deburocratizzazione radicale che permetta alle imprese, nel rispetto delle regole, di viaggiare alla massima velocità.
Ripartire davvero, come dopo il 25 aprile 1945
Un taglio netto ai costi della macchina burocratica. Non significa rinunciare al nostro apparato pubblico, che al suo interno ha molti esempi di valore ed efficacia. Vuol dire fare dell’efficienza una ragione d’esistenza anche per il pubblico. Servirà per liberare risorse per i servizi fondamentali per garantire la sicurezza dei cittadini. La salute, prima di tutto, come abbiamo tristemente sperimentato in questi due mesi.
Uno choc, in questo caso positivo, di natura fiscale. La pressione fiscale non può rimanere tale se vogliamo tornare a crescere, è il momento di decisioni radicali. E responsabilità, di tutti. Se paghiamo tutti meno tasse, ma paghiamo tutti, ne gioverà l’intero sistema. Ci arricchiremo in tutti i sensi, sarà una nuova primavera, virtuosa e certamente libera. Come quel 25 aprile del 1945, segnato nei cuori di nostri nonni, che diventa un sorriso sui loro volti, 15 anni dopo, con l’avvio del boom economico che ci avrebbe consegnato un’Italia più moderna, sorridente, viva. >> Gli editoriali di UrbanPost