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John Lennon, 40 anni dopo la sua morte ci insegna ancora l’arte della pace

08/12/2020 09:58 - Aggiornamento 08/12/2020 09:59

New York, Upper West Side. Era l’8 dicembre del 1980: cinque colpi di pistola uccisero John Lennon di fronte al portone del suo palazzo sulla 72esima strada, il Dakota Building. Erano le 22:50. “I was shot…”, sono state le sue ultime parole, pronunciate mentre si trascinava di fronte al portone. Cinque colpi alla schiena sparati da un fan ossessionato, Mark David Chapman, un giovane di venticinque anni nato in Texas che soffriva di disturbi psichiatrici. “Lo sai che cosa hai fatto?”, gli chiese subito il custode. “Sì, ho appena sparo a John Lennon“. Poche parole, fredde, dette prima di sedersi a leggere “Il giovane Holden” intanto che aspettava l’arrivo della polizia. Proprio di fianco a Lennon, mentre moriva tra le braccia di sua moglie.

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Jhon Lennon 34° anniversario della morte

John Lennon, l’artista degli ideali di non violenza

I suoi fan non si sono mai spiegati il perchè: John Lennon è stata la prima rockstar a morire in quel modo. Su di lui sono stati scritti libri, film, sono emerse ipotesi di complotto, ma nonostante il passare degli anni ancora non si riesce a dare una motivazione a quel gesto. Secondo alcuni potrebbe essere stata la Cia a manovrare il tutto: l’Fbi spiava Lennon e la moglie per le loro simpatie rivolte a sinistra, per il loro impegno anti militarista e la loro posizione contro la guerra del Vietnam. Lennon, effettivamente, era anche questo: un uomo impegnato nel sociale, un attivista. Non era solamente il fondatore dei Beatles, un gruppo che ha fatto la storia, che ha segnato non solo la musica, ma anche i costumi, la moda e la pop art di quegli anni.

Lennon, anche da solista, nascondeva dei messaggi politici nei suoi brani. Basti pensare a canzoni del calibro di Imagine, o Give peace a chance. Per questo con la sua morte fu colpita un’intera generazione cresciuta nutrendosi degli ideali di non violenza, di pace.

Perchè John Lennon non era solamente l’ex Beatle. E quarant’anni dopo, la sua morte resta ancora avvolta da una nube di mistero. Chapman, con una freddezza disarmante, dichiarò di avergli sparato perchè da fervente cristiano voleva liberarsi del musicista che aveva detto al mondo intero che Dio era solamente un concetto. Poi, però, disse anche che voleva liberarsi dell’uomo più famoso del mondo per scacciare la sua depressione cosmica. “Ero un nulla totale e il mio unico modo per diventare qualcuno era uccidere l’uomo più famoso del mondo, Lennon”, ha dichiarato in una intervista.

John Lennon, cinque colpi di pistola gli furono fatali

John Lennon quella sera stava rientrando a casa al fianco della moglie Yoko Ono. Chapman era lì, lo aveva viso anche mentre usciva. Gli aveva stretto la mano, e chiesto di autografare la copertina di “Double Fantasy”. Ma il suo scopo era ben diverso: voleva ucciderlo. Così lo attese sotto al palazzo, fino alle 22:50 circa. A quel punto sparò: cinque colpi, quattro alla schiena a uno dritto all’altezza dell’aorta. Subito fu chiara la gravità della situazione: gli agenti della polizia arrivati sul posto lo caricarono direttamente sulla loro volante, così da non dover attendere l’ambulanza. Lennon fu portato al Roosevelt Hospital, e lì venne dichiarata la sua morte alle ore 23:07.

Chapman non negò mai il suo gesto, e subito venne arrestato. “A otto anni ammiravo già i Beatles, come tanti altri ragazzini. Ma non ho mai pensato che Lennon fosse mio padre. E si sbaglia anche chi sostiene che mi credevo “il vero Lennon” o che lo amavo alla follia. Mi sentivo tradito, ma a un livello puramente idealistico. La cosa che mi faceva imbestialire di più era che lui avesse sfondato, mentre io no. Eravamo come due treni che correvano l’uno contro l’altro sullo stesso binario. Il suo “tutto” e il mio “nulla” hanno finito per scontrarsi frontalmente. Nella cieca rabbia e depressione di allora, quella era l’unica via d’uscita. L’unico modo per vedere la luce alla fine del tunnel era ucciderlo”, spiegò Chapman.

John Lennon imagine

Champan e l’accusa di omicidio di secondo grado

Chapman non fece resistenza durante l’arresto. Non provò nemmeno a scappare dopo aver sparato a John Lennon. Aspettò, calmo, l’arrivo della polizia. Fu accusato di omicidio di secondo grado e, dichiaratosi colpevole, fu condannato alla reclusione da un minimo di 20 anni al massimo dell’ergastolo. Nel 2000, dopo aver scontato il minimo della pena, fece richiesta per la scarcerazione sulla parola. La domanda però venne rifiutata. Così Chapman ha trascorso i primi 30 anni di reclusione del carcere di Attica, e poi è stato rasmerito, nel 2012, in quello di Wende, sempre nello Stato di New York. Non sono mancati i tentativi di richiesto di libertà condizionata, ma per lui non c’è stato ancora modo di lasciare la prigione.

Anche questa estate, per l’undicesima volta, ha domandato di essere scarcerato preventivamente. Ed esattamente come tutte le altre volte, la possibilità gli è stata negata dopo un’udienza in cui, per la prima volta, ha chiesto scusa a Yoko Ono.

Chapman: “L’ho fatto per la gloria personale”

Voglio solo ribadire che mi dispiace per il mio crimine“, ha detto Chapman al comitato per la libertà vigilata del Wende Correctional Facility di New York. “Non ho scuse. L’ho fatto per la gloria personale, perchè era molto famoso“. Poi, parlando alla moglie Yoko Ono, ha detto: “Mi dispiace per il dolore che le ho causato. Ci penso sempre”. Ma Chapman non viene rilasciato soprattutto perchè la sua scarcerazione viene considerata “incompatibile con il benessere della società”. Il dipartimento di correzione, poi, ha dichiarato di aver trovato inquietante la sua affermazione secondo cui “l’infamia para gloria”.

“Le azioni egoistiche di Chapman hanno rubato la possibilità ai futuri fan di sperimentare le parole di ispirazione che questo artista ha fornito a milioni di persone. Il suo atto violento ha causato devastazione non solo alla famiglia e agli ex membri della band, ma al mondo”, ha sottolineato il dipartimento.

Perchè John Lennon ha cambiato il mondo. E quest’anno, in un periodo in cui le sue parole riecheggiano tra un balcone e l’altro in segno di speranza, per la prima volta non ci saranno tributi e commemorazioni in suo onore. Il coronavirus ferma tutto, anche la necessità dei suoi fan di celebrarlo durante il quarantesimo anno della scomparsa. Ma Lennon rimane e rimarrà sempre una delle più potenti icone mai emerse dalla cultura popolare, e questo la pandemia non riuscirà a oscurarlo. >> Tutte le notizie di UrbanPost

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