Nicolino Grande Aracri pentito. La notizia, rivelata stamattina dal Quotidiano del Sud, avrà fatto saltare sulla sedia molti in Italia, da nord a sud. Sì, perché il super boss della ‘ndrangheta originario di Cutro è una specie di imperatore dell’onorata società calabrese. Condannato a più ergastoli, non ha mai smesso di guidare gli affari della sua cosca, che negli ultimi tre decenni dalla piccola Cutro, nel crotonese, si è ramificata in tutta Italia colonizzando soprattutto il Nord e in particolare l’Emilia-Romagna. (prosegue dopo la foto)
Nicolino Grande Aracri pentito: il boss imprenditore che ha colonizzato mezzo Nord Italia
“Nicolino Grande Aracri pentito potrebbe essere il Buscetta della ‘ndrangheta”, dicono gli esperti di criminalità organizzata. E in effetti se il pentimento del boss che già negli anni ’90 voleva creare un crimine autonomo da quello storico di Polsi che da sempre governa la ‘ndrangheta sarà genuino, potrebbe essere scritto un nuovo capitolo sui rapporti tra mafie e politica, da Nord a Sud. Grande Aracri starebbe collaborando già da un mese e sulle sue propalazioni, come ovvio, gli inquirenti mantengono il massimo riserbo.
Saranno saltati in molti sulle sedie, dicevamo. E più che i “parigrado” del boss di Cutro ad agitarsi in queste ore sarà la sua “rete” di conoscenze e rapporti, ramificata nei gangli della pubblica amministrazione e dell’economia legale, dall’Emilia-Romagna alla Lombardia, da Roma a Crotone. I “cristiani buoni”, come li chiamava lui in un’intercettazione. La storia criminale di Nicolino Grande Aracri affonda le radici nella ‘ndrangheta dell’accumulazione primaria, dai sequestri al traffico di droga alle lotte intestine per la supremazia territoriale. Ma come ha rivelato la maxi inchiesta “Aemilia” in Emilia-Romagna (qui lo speciale sul processo Aemilia del Movimento “Agende Rosse”), indagine in cui la sua figura è al centro, Nicolino Grande Aracri era da tempo il numero uno della ‘ndrangheta evoluta, quella pienamente inserita nel tessuto politico-economico dei territori colonizzati col metodo mafioso.
La carriera di Nicolino da Cutro
Difficile raccontare in sintesi la carriera di Nicolino Grande Aracri, classe 1959, da Cutro, detto “il professore” o “mano di gomma”. La sua figura emerge già come importante a metà degli anni ’80, quando la sua ‘ndrina si scontra con quella dei Dragone, fino a quel momento egemoni sul territorio di Cutro ma già presenti in Emilia-Romagna dal 1982, anno del trasferimento a Reggio Emilia del capo cosca Antonio Dragone. Poi è un’ascesa continua, in Calabria come nel resto d’Italia. Fin dagli anni ’90 le proiezioni della cosca Grande Aracri sono attive in Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto. Poi l’alleanza con i Nicoscia di Isola Capo Rizzuto, contrapposti agli Arena alleati dei Dragone, e la consacrazione definitiva come capo assoluto della ‘ndrangheta del crotonese.
Rispettato dal gotha della ‘ndrangheta, a partire dalla cosca De Stefano di Reggio Calabria e dai Mancuso di Limbadi con cui è sempre stato in buoni rapporti, Nicolino Grande Aracri è la figura di boss imprenditore più forte della criminalità organizzata calabrese. E riuscito nell’intendo di creare un “crimine” autonomo di Cutro, come confermato dal pentito Salvatore Cortese nell’ambito del processo “Rinascita-Scott” in corso a Lamezia Terme. Nicolino Grande Aracri sarebbe anche l’unico nella ‘ndrangheta a possedere la carica di “crimine internazionale”. Come racconta il Quotidiano del Sud, lui che non parlava una parola di inglese, è stato capace di far rientrare dall’estero “scudandoli”, 240 milioni di euro. Nelle intercettazioni si vantava di aver “ammazzato tutti”, di aver vinto, cioè, una guerra di mafia al termine della quale aveva scalato la gerarchia criminale. Lo scontro con i Dragone e i loro alleati di cui abbiamo detto.
Ma Grande Aracri è stato anche un boss “politico”. Prima di tutto dentro alla stessa ‘ndrangheta, con il tentativo di rendere indipendente il Crotonese dalla “mamma” di San Luca e poi con la strategia dell’inabissamento nell’economia legale, come dimostrato dal processo “Aemilia”. Realizzata tessendo una fitta trama di relazioni economiche, politiche, anche attraverso la massoneria di cui era nota (negli ambienti criminali) la sua appartenenza, ben prima di essere accertata nei processi.