19 luglio 2021, è il giorno del ricordo a Palermo. L’Italia intera ricorda il giudice Paolo Borsellino e gli uomini della sua scorta, uccisi nella strage di via D’Amelio nel 1992. A partire dalle 9 e fino alle 13, davanti all’Albero della Pace, ci sarà la “Mattinata dedicata al mondo della scuola”, a cura del Centro studi Paolo e Rita Borsellino. A tenere vivo il ricordo c’è, infatti, anche il fratello del giudice, Salvatore Borsellino, che in un’intervista all’Adnkronos ha parlato del «depistaggio sulla strage», anzi «dei depistaggi» e di chi «non vuole che venga fuori la verità su quanto accadde quella maledetta domenica».
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Giovanni Borsellino, parla il fratello: «I depistaggi da chi non vuole la verità»
«La verità su via D’Amelio si saprà, purtroppo, solo quando tutti gli attori di questa scellerata storia saranno morti…», ha spiegato Giovanni Borsellino. «Tante volte si dice che lo Stato non può processare se stesso. E sono stati proprio pezzi deviati dello Stato che hanno intavolato la trattativa. E quella trattativa, con Paolo ancora in vita, non sarebbe mai potuta andare avanti. Paolo doveva morire per potere portare avanti quella scellerata trattativa e doveva anche sparire la sua agenda rossa», ha dichiarato all’Adnkronos il fratello del giudice ucciso.
Ci sono punti oscuri ancora: per Salvatore Borsellino «il depistaggio comincia nel momento in cui un capitano dei carabinieri si allontana dalla macchina di Paolo con la sua borsa che poi viene rimessa nel sedile, sperando in un ritorno di fiamma dell’inferno che c’era in via D’Amelio. E sperando che andasse tutto perduto, compresa la borsa. Ma su questo non si è mai veramente indagato. Perché se è vero che il capitano Arcangioli è stato assolto dal reato di avere sottratto l’agenda, a mio avviso si sarebbe dovuto indagare su che fine abbia fatto l’agenda di mio fratello. E chi fine ha fatto prima che borsa venisse restituita alla moglie e alla figlia».
«I depistaggi continuano, e lo dimostra ad esempio, quell’inquinatore di pozzi di Maurizio Avola»
Poi, parlando della relazione della Commissione regionale antimafia all’Ars pubblicata nei giorni scorsi dal Presidente Claudio Fava, secondo cui i depistaggi non sarebbero mai finiti, Salvatore Borsellino dice: «Con Fava, purtroppo, ho avuto dei dissidi su certe cose, le ha avute anche con il mio avvocato. Con la Commissione antimafia, che qualche volta mi è sembrata un trampolino per le aspirazioni di chi vuole diventare Presidente della Regione. Ma devo dire che in questo caso sono assolutamente d’accordo con Fava. I depistaggi continuano, e lo dimostra ad esempio, quell’inquinatore di pozzi di Maurizio Avola. Non voglio neppure chiamarlo collaboratore di giustizia, e sicuramente non può essere chiamato pentito». Maurizio Avola è il killer che, raccontandosi nel libro ‘Nient’altro che la verità’, si è posto al commando che nel 1992 ha ucciso Borsellino e gli agenti.
E ancora: «Il libro avallato da Santoro e intitolato ‘Nient’altro che la verità’, si dovrebbe chiamare invece ‘Nient’altro che un depistaggio’. Perché di un depistaggio si tratta e di un depistaggio mirato che tende ad eliminare dalla scena della strage di via d’Amelio quei servizi che sicuramente erano presenti in questa via, pronti per fare sparire l’agenda rossa». Leggi anche l’articolo —> Anniversario strage di Capaci, se la Giustizia in Italia è ormai un feticcio