Non c’è bisogno di cercare fuori dal Pd per trovare le più aspre critiche al partito. Sono proprio i membri del Partito Democratico, infatti, che si stanno rivoltando contro Zingaretti. L’alleanza col M5S, poi la valanga di critiche per la scarsissima rappresentanza delle donne nell’esecutivo Draghi: i problemi del Pd saranno forse strutturali e non esclusivi della gestione di Nicola Zingaretti, ma di fatto è in lui che molti identificano la causa dei problemi del Pd.
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La rappresentanza delle donne
Le critiche alle scelte di Zingaretti per le nomine, una volta presentato il nuovo esecutivo, non hanno tardato ad arrivare. “Sulla rappresentanza di genere Berlusconi è stato più bravo di Zingaretti“, dice la deputata Pd Lia Quartapelle a Radio Popolare. “Da noi più che le regole dello statuto e più che i valori prevale una logica di correnti: questo è molto deludente. Si è più pensato agli equilibri interni che alle competenze e alla rappresentanza. Oggi non posso che essere delusa dal mio partito”. Fa luce sul problema anche l’eurodeputata Alessandra Moretti, intervistata a ‘Coffee Break’ su La7. “Le donne hanno perso 312mila posti di lavoro durante la pandemia ed è semplicemente incomprensibile che con una vera recessione femminile non ci sia una donna ministro nel maggior partito di centrosinistra”.
Fa eco la deputata Pd ed ex sottosegretaria allo Sviluppo Economico Alessia Morani, che non è stata riconfermata al Mise. La decisione è stata presa proprio da Zingaretti, dice Morani a La Stampa: “Non c’entra niente Draghi, preserviamolo per cortesia”. “La mancanza di rappresentanza femminile è la punta dell’ iceberg dell’ incapacità del nostro partito di rappresentare la società italiana, un’ incapacità che diventa evidente quando ne escludi la metà dalla delegazione dei ministri. Il problema riguarda le nostre politiche, l’ identità del Pd. Serve una riflessione profonda, bisognerebbe andare oltre gli equilibri interni. E invece si pensa di mettere una toppa alla mancanza di rappresentanza di metà della società italiana con cinque sottosegretarie e una vicesegretaria. L’ultima rilevazione ci dà al 18,3% e se fossi nel gruppo dirigente del Pd mi interrogherei“.
“Il partito dell’establishment”
“Siamo in un momento storico decisivo, per la politica in generale ma soprattutto per il Pd: o si cambia davvero, o si rischia l’ estinzione – fa presente Dario Nardella, sindaco di Firenze, su La Nazione -. Quello che più mi preoccupa è che sta diventando il partito dell’establishment: autoreferenziale, lontano dal Paese reale e legato all’ apparato romano, in cui comandano esclusivamente le correnti, che non si dividono sulle idee ma sui posti. Non si capisce il tentativo di una fusione a freddo fra Pd e 5Stelle, anche perché finora le uniche circostanze in cui questa alleanza è stata sperimentata sono state fallimentari”. Del problema delle correnti parla anche Antonio Decaro, sindaco di Bari, su Repubblica. “Il partito è ostaggio delle correnti e le correnti tengono in ostaggio il segretario. Non sono contrario per principio alle correnti, se sono aree culturali che dibattono sui temi. Ma non è più così da molto tempo. Oggi sono gruppi di eletti che si muovono allo scopo di essere rieletti sulla base di un vincolo di fedeltà al loro leader. Si alimentano di parlamentari che studiano strategie per tornare a fare i parlamentari”
Pd senza identità
Anche secondo Stefano Pedica, minoranza Pd, a mancare è la vera identità del Pd. “Fa bene Zingaretti a parlare della questione delle donne nel partito, ma questo argomento non deve essere la scusa per non affrontare il problema principale: la perdita di identità del Pd, che improvvisamente si è ritrovato grillino e contiano. Un partito in continuo declino, schiavo delle correnti e nelle mani di una ristretta cerchia di persone fedeli ai vertici mentre la minoranza non viene presa minimamente in considerazione. Questa scelta di dire tutto e tutto il suo contrario ha rappresentato il problema vero del Pd. Serve non solo un congresso ma una rigenerazione intesa come cambio totale di una classe dirigente a vocazione zingarettiana“.
“Un sistema feudale”
Severe le parole della senatrice Monica Cirinnà, pronunciate su Radio Cusano Campus: “Bisogna fare una distinzione tra le aree culturali e le correnti vere e proprie legate ad una gestione del sistema quasi feudale. Esistono aree feudali nel Pd, purtroppo esistono territori nei quali alcune persone esercitano un’egemonia così pesante da non consentire ad altre aree culturali di introdursi. Io, alle precedenti elezioni, da capolista nel Lazio non ho potuto accedere ad alcuni territori perché non ero gradita a quel qualcuno che era egemone in quel territorio. Basta nepotismo, basta poteri territoriali dei soliti noti”. Gianni Cuperlo, intervistato da Repubblica, non ne fa un problema storico bensì strutturale. “Io credo nel pluralismo, anche dentro il Pd, ma questo modello di partito, il suo modo di discutere, di decidere, di selezionare le classi dirigenti a ogni livello va cambiato alla radice. Non è un problema di adesso, ce lo portiamo appresso dalla nascita. Sarebbe inoltre un errore pensare di risolverlo con qualche ritocco allo Statuto, che pure servirà”. >> Tutte le news di UrbanPost