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Sottile smonta il caso Corona–Signorini: “Cosa c’è davvero dietro”

23/12/2025 11:42

Salvo Sottile Signorini Corona

Non è gossip. Non è nemmeno informazione. È qualcosa di diverso, e forse di molto più pericoloso. Secondo Salvo Sottile, dietro la guerra esplosa tra Fabrizio Corona e Alfonso Signorini non c’è un’esplosione casuale di scandali, ma un metodo preciso, rodato, replicabile. Un modello che si regge su tre pilastri: fango, vendetta e soldi.

L’analisi mette a fuoco un punto chiave che spesso sfugge nel rumore social: non siamo davanti a un’operazione di controinformazione, né a una battaglia contro il potere. Corona, spiega Sottile, non combatte il sistema. Ne è stato parte integrante. E oggi presenta il conto.

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Il metodo: fiutare il sangue, offrire lo spettacolo

Secondo Sottile, il meccanismo è sempre lo stesso. Corona “annusa l’aria”, intercetta il momento in cui una figura pubblica è vulnerabile, quando l’opinione pubblica è pronta all’esecuzione sommaria. A quel punto si propone come strumento, come acceleratore di un processo già in corso.

I nomi cambiano, il copione resta identico. Ieri Raoul Bova, l’altro ieri il caso Garlasco, oggi Alfonso Signorini. Cambia il bersaglio, non la dinamica. Ogni volta l’asticella si alza, perché più il potente cade, più la pancia del Paese si esalta.

La verità diventa secondaria. Non è rilevante stabilire cosa sia vero e cosa no. Conta una sola cosa: che faccia male. Che sia divorabile. Che produca indignazione, rabbia, adrenalina.

Il pubblico invisibile: spettatori senza colpa

Nel racconto di Sottile, il vero protagonista non è Corona, ma il pubblico. Un pubblico che osserva, consuma, paga. L’“italiano assetato di sangue”, lo definisce, resta sul divano in pantofole, convinto di essere pulito. A sporcarsi le mani è sempre qualcun altro.

Corona diventa così l’esecutore materiale di un desiderio collettivo. Il fango lo maneggia lui. Il pubblico si limita a godersi lo spettacolo, mantenendo intatta l’illusione della propria innocenza.

Chi prova a fare domande diventa automaticamente un nemico. Chi non applaude viene messo all’indice. Il dissenso non è ammesso, perché rompere la narrazione significherebbe rompere il giocattolo.

Il corto circuito perfetto: quando interviene la magistratura

Il punto più inquietante arriva quando entrano in scena polizia e magistratura. Perquisizioni, sequestri, interventi giudiziari. In un sistema sano, il messaggio dovrebbe essere chiaro: se ci sono reati, si accertano.

Ma nel racconto pubblico accade l’opposto. Il messaggio che passa non è “Corona ha commesso dei reati”, bensì: “Il sistema prova a zittire l’eroe”. Ed è esattamente la narrazione che Corona cerca.

Il conflitto con il potere, reale o presunto, diventa carburante. Rafforza il personaggio, lo consacra come martire, alimenta la macchina del consenso e del profitto.

Non un personaggio, ma un modello

Sottile è netto: questa non è una storia su Fabrizio Corona come figura pittoresca o sull’ennesimo scandalo da consumare tra un reel e una diretta notturna. È una storia su un modello. Su un sistema parallelo che funziona perché risponde a un bisogno profondo.

Un sistema che si regge su tre pilastri solidissimi: violazione delle vite private, spettacolarizzazione del dolore, profitto economico e simbolico. Tutto il resto — verità, giustizia, indignazione morale — diventa scenografia.

Ed è forse qui il punto più scomodo dell’analisi: finché questo modello funziona, finché genera click, soldi e consenso, non ha alcun motivo di fermarsi. Perché non è un’anomalia. È uno specchio.

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