I tamponi antigenici rapidi rientreranno nel computo dei casi contagiati dal Coronavirus. Il direttore della Prevenzione del ministero della Salute, Gianni Rezza, ha firmato ieri, 11 gennaio 2021, la circolare che riconosce la validità dei test antigenici rapidi di ultima generazione nella definizione di caso Covid-19. La circolare “Aggiornamento della definizione di caso Covid-19 e strategie di testing” tiene conto delle nuove indicazioni dall’Europa. Tuttavia, i tamponi rapidi non sono equiparabili ai tamponi molecolari in termini di affidabilità. Il ministero infatti non li mette sullo stesso piano, fornendo indicazioni sulle circostanze in cui i tamponi antigenici sono da utilizzare.
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La circolare del ministero della Salute
La circolare firmata da Rezza fornisce innanzitutto una definizione più precisa di “caso positivo al Covid-19”. I criteri nella definizione di un positivo possono essere clinici, radiologici, epidemiologici oppure quelli di laboratorio. In quest’ultimo caso, i test di laboratorio possono fare riferimento sia al rilevamento di acido nucleico di SARS-CoV-2 in un campione clinico, oppure al rilevamento dell’antigene SARS-CoV-2 in un campione clinico. Il rilevamento dell’antigene, che avviene attraverso i tamponi rapidi, deve avvenire in contesti e tempi definiti.
La validità dei tamponi antigenici rapidi
I test antigenici rapidi sono definiti dalla circolare “test antigenici a lettura fluorescente o ancor meglio test basati su immunofluorescenza con lettura in microfluidica”. Questi test diventano con la firma della circolare validi per il computo statistico dei casi di positività da Coronavirus al pari dei tamponi molecolari. La circolare, però, raccomanda il ricorso a test antigenici rapidi con requisiti minimi di performance: 80% di sensibilità e 97% di specificità. Questi test antigenici, si rileva, sembrano mostrare risultati “sovrapponibili” ai saggi di Rt-Pcr (test molecolari), specie se utilizzati entro la prima settimana di infezione. Sulla base dei dati al momento disponibili risultano essere “una valida alternativa alla Rt-Pcr”. Ma non in tutti i casi.
Quando utilizzare i tamponi antigenici rapidi
Se la capacità di tamponi molecolari è limitata o se è necessario adottare con estrema rapidità misure di sanità pubblica, spiega il testo, “può essere considerato l’uso dei test antigenici rapidi in individui con sintomi compatibili con Covid-19 nei seguenti contesti: situazioni ad alta prevalenza, per testare i casi possibili/probabili; focolai confermati tramite Rt-Pcr, per testare i contatti sintomatici, facilitare l’individuazione precoce di ulteriori casi nell’ambito del tracciamento dei contatti e dell’indagine sui focolai; comunità chiuse (carceri, centri di accoglienza, etc.) e ambienti di lavoro per testare le persone sintomatiche quando sia già stato confermato un caso con Rt-Pcr; in contesti sanitari e socioassistenziali/sociosanitari, o per il triage di pazienti/residenti sintomatici al momento dell’accesso alla struttura o per la diagnosi precoce in operatori sintomatici”.
I limiti dei test antigenici rapidi
Infatti, spiega la circolare, “i tempi di lettura dell’esame sono brevi, ma la sensibilità e specificità dei test di prima e seconda generazione tendono ad essere inferiori a quelli del test molecolare e variano sensibilmente in funzione del momento di prelievo del campione”. “Il test antigenico rapido”, recita il testo “va eseguito il più presto possibile e in ogni caso entro cinque giorni dall’insorgenza dei sintomi. In caso di eventuale risultato negativo il test deve essere ripetuto con metodica RT-PCR o con un secondo test antigenico rapido a distanza di 2-4 giorni. Anche a seguito di un primo risultato negativo e in attesa del secondo test, restano tuttavia valide le misure previste per la durata ed il termine dell’isolamento e della quarantena”.
“Nel caso di asintomatici o sintomatologie lievi, i molecolari – confermano dal ministero – restano comunque il gold standard, ovvero lo strumento più efficiente, per la conferma di Covid-19”. >> Tutte le news