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Tangenti in Marina Militare, il tribunale di Taranto condanna nove persone

09/09/2020 09:44

Nove condanne da parte del Tribunale di Taranto a militari e imprenditori su presunte tangenti pagate per pilotare gli appalti milionari assegnati dal Commissariato della Marina militare e da altre basi a Taranto. Al Commissariato della Marina militare di Taranto il sistema delle “mazzette” per gestire gli appalti era ben strutturato. E per porgli fine, era stato inviato il comandante Giovanni Di Guardo. Nemmeno il militare integerrimo però è riuscito a rimanerne fuori: anche per lui è scattata una condanna da 10 anni di reclusione per associazione a delinquere finalizzata alla concussione. Il meccanismo andava avanti da tempo, tanto che gli imprenditori erano ormai abituati a pagare per vedersi assegnare servizi e forniture. Il tutto finché uno di questi non ha deciso di parlare e denunciare tutto alla magistratura.

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Tangenti in Marina Militare, Di Guardo era stato inviato a risolvere il problema

Quello che avveniva a Maricommi, il Commissariato della Marina Militare di Taranto, era un sistema ben oliato. Cambiavano i comandanti, ma il meccanismo rimaneva sempre il medesimo. Per fermarlo, era stato inviato il militare integerrimo Giovanni Di Guardo, ma anche lui è stato immediatamente travolto dal sistema delle tangenti. E, infatti, ha rimediato una condanna in primo grado a 10 anni di reclusione per associazione a delinquere finalizzata alla concussione, corruzione e turbativa d’asta. “Voglio chiedere scusa alla Marina Militare per i miei comportamenti: porterò il peso dei miei errori per tutta la vita”, ha dichiarato durante una delle ultime udienze.

Sì, perché proprio lui doveva risolvere il problema del malaffare che aveva colpito il Commissariato, e invece ne è diventato il simbolo. Il suo arresto è avvenuto nel 2016, mentre riscuoteva una “mazzetta” di 2.500 euro dall’imprenditore Vincenzo Pastore, il quale aveva già patteggiato 2 anni e un mese di reclusione.

Arrestate nove persone

Non è il solo, però. Il Tribunale di Taranto infatti ha condannato altre otto persone. Otto anni di reclusione sono stati imposti al dipendente civile ritenuto il factotum di Di Guardo, Marcello Martire. Cinque anni e otto mesi sono stati assegnati alla compagna dell’ufficiale Elena Corinna Boicea, quattro anni e sei mesi a Francesca Mola, la giovane ufficiale a capo dell’ufficio contatti a cui era stata contestata una turbativa d’asta per un appalto da 11 milioni. Poi ancora sono stati condannati Gerardo Grisi a un anno e otto mesi, e Massimo Conversano a un e quattro mesi. Per loro, tuttavia, è stata disposta la sospensione della pena. Infine, sono scattate le manette anche per alcuni imprenditori del posto, i quali hanno rimediato delle pene comprese tra un minimo di un anno e un massimo di quattro anni e nove mesi.

Precisamente, 4 anni, 9 mesi e dieci giorni sono stati imposti all’imprenditore Vincenzo Calabrese, 4 anni e 8 mesi all’imprenditore Giuseppe Musciacchio, un anno all’imprenditore Gaetano Abbate.

Tangenti in Marina Militare, il “sistema del 10%”

Lo chiamavano il “sistema del 10%“: chi si aggiudicava un appalto era costretto a versare una tangente del 10% dell’importo totale. In caso contrario, sarebbe inciampato in una serie di escamotage burocratici, e gli ufficiali si sarebbero vendicati pagando in ritardo le fatture o addirittura facendo saltare l’appalto. Chi sceglieva di non accettare le imposizioni, veniva “messo brutalmente fuori”. Per questo la maggior parte degli imprenditori pagava. “Dovevano obbedire alle ferree logiche di un “sistema” più grande di loro”. E, di conseguenza, permette di continuare ad “assicurare un determinato tenore di vita” a chi le tangenti le prendeva.

Il tutto finché non è scattata la ribellione di un imprenditore, la quale ha fatto puntare l’attenzione contro il Commissariato della Marina Militare di Taranto. Dalle indagini è emerso un “sistema criminale” di tangenti, così ben strutturato da definirlo “una sorta di grande “Matrix” delle tangenti”, visto che era riuscito a rimanere in piedi nonostante le inchieste giudiziarie. Tramite le ricerche, infatti, è stato scoperto un “feroce demone dell’avidità e del denaro che tutto muove”, aveva commentato nell’ordinanza d’arresto il gip Pompeo Carriere. Proprio lo stesso demone che ha spinto i militari e gli imprenditori a continuare per questa strada criminale. Nonostante il rischio di “potenziali arresti o sequestri. L’unica cosa che interessa è perpetuare questo sistema criminale. Anche perché per gli imprenditori esso è ormai, in un simile contesto, quasi fonte di “sopravvivenza” economica”. >>Tutte le notizie di UrbanPost