Vai al contenuto

12 dicembre 1969: 52 anni fa la Strage di Piazza Fontana, ancora senza colpevoli “ufficiali”

12/12/2021 10:29 - Aggiornamento 12/12/2021 10:32

12 dicembre 1969: una data che fa da spartiacque nella storia d’Italia, che segna l’inizio dello stragismo nel nostro Paese. Uno snodo storico-politico che tende ad essere considerato simbolicamente come l’inizio degli ‘anni di piombo’ in Italia: 52 anni fa la strage di Piazza Fontana, il grave attentato terroristico messo in atto nel centro di Milano. Quel giorno alle 16:30 una forte esplosione nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana, nel cuore del capoluogo lombardo. A deflagrare un ordigno contenente 7 chili di tritolo piazzato nel salone centrale dell’istituto di credito dove al momento della tragedia si trovavano numerosi clienti, soprattutto coltivatori diretti e imprenditori agricoli, giunti dalla provincia. Fu una strage: il pavimento del salone fu sventrato dalla devastante esplosione, 17 le vittime, 13 morirono sul colpo, la 17esima un anno dopo per cause connesse all’attentato. Una novantina le persone ferite.

Un altro ordigno inesploso fu rinvenuto poco prima nella sede della Banca commerciale di piazza della Scala a Milano. In quello steso frangente, tra le 16.55 e le 17.30, ci furono altre tre esplosioni, e si verificarono a Roma: una all’interno della Banca nazionale del lavoro di via San Basilio, nel passaggio sotterraneo che la collegava all’entrata di via Veneto, e altre due davanti all’Altare della Patria e all’ingresso del Museo centrale del Risorgimento, in piazza Venezia. Nessun morto ma tanti danni e 16 feriti. Fu un pomeriggio infernale: in meno di un’ora cinque attentati terroristici simultanei.

La verità storica sull’accaduto non si è mai avuta. E tuttora la vicenda è oggetto di divergenti ‘letture’ ed interpretazioni: prima la pista anarchica, che portò al fermo di Giuseppe Pinelli, sospettato di conoscere alcuni dettagli relativi all’attentato, morto durante la corsa in ospedale per essere caduto – in circostanze mai chiarite – dal quarto piano durante l’interrogatorio, e scagionato post mortem, poi si ipotizzò la matrice neofascista dell’attentato. Quest’ultima indirizzò le indagini su alcuni esponenti del gruppo padovano della organizzazione di estrema destra, Ordine nuovo, nella ipotesi che gli attentati terroristici di Milano e Roma facessero parte di un disegno perseguito dall’estrema destra per creare instabilità e paura nelle istituzioni e nei cittadini. Una ‘strage di Stato’ voluta  da settori del mondo politico, secondo cui sarebbero stati implicati i servizi segreti, e finalizzata a creare un clima di incertezza, terrore ed instabilità sociale, politica, economica nel nostro Paese.

Il processo a carico dei presunti responsabili della strage iniziò a Roma il 23 febbraio 1972, poi  trasferito a Milano e infine spostato a Catanzaro. Gli imputati Franco Freda, Giovanni Ventura e Guido Giannettini furono condannati all’ergastolo dalla Corte  in quanto gli organizzatori della strage. Gli altri imputati, Pietro Valpreda e Mario Merlino, furono assolti per insufficienza di prove, ma condannati a 4 anni e 6 mesi per associazione a delinquere. Le indagini si susseguirono negli anni e videro imputati in un primo momento anarchici poi neofascisti, alla fine condannati per stragi ma in certi casi assolti, altri beneficiari di prescrizioni che evitarono loro di scontare ogni pena. I processi si conclusero nel 2005 e non accertarono mai le concrete responsabilità materiali degli attentati terroristici di quel 12 dicembre 1969. La strage di Piazza Fontana non ha colpevoli ‘ufficiali’, anche se la Cassazione confermò che fu compiuta da una cellula eversiva di Ordine Nuovo, in un chiaro piano di diffusione del terrore: “I tragici fatti del 12 dicembre 1969 non rappresentano una ‘scheggia impazzita’ ma il frutto di una coordinata ‘acme’ operativa iscritta in un programma eversivo ben sedimentato, ancorché di oscura genesi, contorni e dimensioni”.