Liliana Segra, la senatrice a vita, attiva testimone della Shoah, simbolo per noi oggi di tolleranza, giustizia, apertura verso chi è diverso, ha raccontato la terribile esperienza dei lager in un libro pubblicato dalla casa editrice Rizzoli, dal titolo «La memoria rende liberi», che presenta un’introduzione di Enrico Mentana. Leggendolo non si può fare a meno di piangere, di provare una stretta allo stomaco al pensiero che una bambina (allora aveva solo 13 anni) possa aver subito tante umiliazioni, che si sia ritrovata sola in un girone infernale, «il più raccapricciante della storia contemporanea», come scrive il direttore del Tg La7. Per i nazisti gli ebrei, come pure gli zingari e gli omosessuali erano semplicemente stücke, “pezzi”. Nei campi di concentramento non c’era distinzione tra uomini, donne, bambini, anziani. Solo, brutalmente stücke.
Liliana Segre racconta Auschwitz: come è riuscita a sopravvivere
Solitudine quella della Segre accresciuta dal freddo, dalla sete, dalla fame, quella che faceva interrompere il ciclo mestruale alle donne presenti nel campo. «Nelle tante fasi della mia vita ho provato a ripensare alla ragazzina che sono stata, alla mia adolescenza nel campo. Ho rievocato quell’esperienza all’indomani della mia liberazione, durante il mio difficile ritorno alla normalità, alla luce del mio nuovo ruolo di moglie e madre. Nell’ombra della depressione e nel momento in cui ho trovato il coraggio di venire allo scoperto. (…) Riflettere sull’esperienza del lager, per chi come me l’ha vissuta sulla propria pelle, ha un costo elevato: rende più difficile rientrare mentalmente nel quotidiano», scrive nel libro Liliana Segre, spiegando poi il suo ruolo di testimone. «È difficile crescere, maturare e invecchiare, portandosi dentro quella storia, soprattutto quando provo a condividerla raccontandola. Ho l’impressione di prendere le distanze dalla persona che l’ha vissuta. Ma al tempo stesso il distacco è anche necessario per testimoniare». Riuscì a sopravvivere soltanto grazie all’amore, a quell’amore incondizionato ricevuto dal padre.
Come ha fatto quella ragazzina a sopravvivere? La lunga testimonianza ne “La memoria rende liberi”
Come ha fatto quella ragazzina a sopravvivere? Liliana Segre più volte nel libro «La memoria rende liberi» prova a rispondere. «Aver vissuto quell’esperienza da ‘figlia’ mi dà uno strano sollievo. Non riesco neanche ad immaginare quanto sarebbe stato straziante viverla da «mamma» o da «nonna». Come hanno fatto mio padre e i miei nonni a sopportare l’idea di sapermi arrestata, impaurita, imprigionata, deportata, sola e scheletrica… Se sono sopravvissuta e non sono impazzita è perché non ho dovuto sopportare il peso di questi sentimenti», scrive la politica. Quando la figlia Federica ha compiuto tredici anni, l’età che aveva lei all’epoca della deportazione, la senatrice è stata preda di «un dolore intollerabile». La faceva impazzire il solo pensiero che la sua piccola potesse avere in sorte quello stesso dramma toccato anni prima a lei. A lei che non aveva alcuna colpa. Non era che una bambina a cui con prepotenza era stata strappata via l’infanzia.
Liliana Segre racconta Auschwitz: come è riuscita a sopravvivere
Nel libro, che vi invitiamo a leggere, Liliana Segre parla anche di Primo Levi, autore di «Se questo è un uomo». Nello specifico la senatrice ha raccontato di essere rimasta particolarmente turbata dalla lettura dell’ultimo volume dello scrittore torinese: «I sommersi e i salvati». Primo Levi si sentiva colpevole di essere sopravvissuto e in quelle pagine è spietato con i salvati. La Segre gli scrisse una lettera spiegandogli di sentirsi vicina a lui, che quella lettura l’aveva sconvolta: «Capisco da questo momento di essere una sommersa perché da Auschwitz non si esce mai». E su quel campo di concentramento teatro di orrore e morte Liliana Segre scrive: «Non sono mai tornata ad Auschwitz. Ne sono uscita sana di mente una volta e non voglio sfidare la sorte, varcando ancora quel cancello. Ognuno hai suoi limiti. Chi soffre di vertigini non può salire su un grattacielo e forse la mia vertigine è Auschwitz. Ormai ho accettato questa realtà, ma un pensiero continua a rattristarmi. Non avrò mai una tomba sulla quale piangere mio papà e i miei nonni, perché le loro ceneri sono state portate dal vento nel cielo di Auschwitz».
Liliana Segre: «È importante educare le persone, tenere vivo il ricordo delle ingiustizie che intere nazioni hanno commesso»
«Orrori come quelli del nazismo e del fascismo non sono accaduti perché un esercito ha imposto con la forza bruta le sue regole a una popolazione recalcitrante. Se Hitler e Mussolini sono riusciti a tenere in pugno i rispettivi paesi è perché hanno potuto contare sul sostegno e la complicità di una vastissima percentuale di tedeschi e italiani», sottolinea nel libro Liliana Segre. «Per questo è importante, ancora oggi, educare le persone, tenere vivo il ricordo delle ingiustizie che intere nazioni hanno commesso in passato».
La rivelazione sul tedesco: “Non sopporto sentirlo parlare”
A proposito della Germania la senatrice scrive: «Il tedesco non lo parlo, l’ho rimosso e tuttora non sopporto di sentirlo parlare. Con la Germania non sono riuscita a riappacificarmi e nutro sentimenti orribili verso i tedeschi, nonostante abbiano fatto un lavoro sulla memoria molto sentito». Durante la prigionia un vocabolario di poche parole accompagnò la Segre bambina: «weinen», che significa ‘piangere’, «angst» ossia paura, «schlag» schiaffo. E ancora termini come «schnee» neve o «brot» pane. «Non ne trovai nessuno che desse voce ai sentimenti di pena e orrore che provavo», racconta Liliana Segre ricordando i giorni tremendi della prigionia. Leggi anche: Liliana Segre e la stroncatura a ‘La vita è bella’: «Un filmetto senza pretese, falso»
Quest’articolo è stato pubblicato inizialmente il 10 settembre del 2020 alle ore 11.05 ed è stato aggiornato in data venerdì 26 gennaio 2024 alle ore 12.12.