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Eugenio Montale e il disprezzo per il regime: quando fu preso a ceffoni per la strada dai fascisti

12/10/2020 17:40 - Aggiornamento 12/10/2020 17:46

Il 12 ottobre 1896 nasceva a Genova Eugenio Montale, poeta, traduttore, giornalista e critico letterario, ricordato non soltanto per i suoi meriti artistici o il Premio Nobel per la letteratura, ma anche per il disprezzo nei confronti dei regimi liberticidi. Firmò il 1° maggio del 1925 il Manifesto degli intellettuali antifascisti assieme a Giovanni Amendola, Luigi Einaudi, Sibilla Aleramo, Corrado Alvaro, Piero Calamandrei e Gaetano Salvemini. Tra le tante, aiutò pure l’amico Umberto Saba a rifugiarsi durante le persecuzioni razziali contro gli ebrei a Firenze.

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Eugenio Montale

Eugenio Montale e il disprezzo per il regime: quando fu preso a ceffoni in strada dai fascisti

Pur essendo poco avvezzo alla poesia sociale, Montale non è stato indifferente ai contesti politici. Anzi, più volte nei suoi scritti ha espresso il suo giudizio negativo sull’epoca fascista. Vogliamo riproporre oggi uno dei suoi articoli scritti per ‘Il Corriere della sera’, oggi contenuto ne ‘La farfalla di Dinard’ (Mondadori, 1970). Una delle rare pagine in cui lo scrittore racconta qualcosa della sua giovinezza, dal titolo ‘Racconto d’uno sconosciuto’. Un pezzo in cui emerge da un lato l’incapacità di Montale di dedicarsi al commercio, dall’altra il suo totale disprezzo per il Fascismo. «Mio padre viveva fra casa e scagno (dove lo aiutavano i miei fratelli, questi indipendenti davvero). Io fra la casa e i portici delle strade nuove, sempre disoccupato. Si intende che cercavo un lavoro degno di me e delle mie attitudini; ma quali si fossero tali attitudini né io né mio padre avevamo mai potuto appurare». Così scrive Montale sfoderando l’ironia, una costante nelle prose sue. «Nelle nostre vecchie famiglie c’era di regola un figlio, per lo più l’ultimo, il beniamino, al quale non si richiedeva alcuna ragionevole attività. Figlio minore di padre vedovo, alquanto maldicente fin dall’infanzia e ricco di imprecisabili vocazioni extra-commerciali, io ero giunto a quindici e poi a venti e poi a venticinque anni senza aver preso una decisione», prosegue il giornalista.

Montale

La dignità dietro la modestia: «Non si potevano ottenere permessi d’importazione se non si dimenticavano pingui buste negli uffici dei commendatori a Roma»

«Venne la guerra, che non mi strappò di casa e vennero il dopoguerra, la crisi e la grande rivoluzione che doveva salvarci dagli orrori del bolscevismo», insiste Montale, alludendo al Fascismo, che agli esordi si era presentato sul serio come una sorta di contro-rivoluzione al comunismo. «Gli affari andavano male; non si potevano ottenere permessi d’importazione se non si dimenticavano pingui buste negli uffici dei commendatori a Roma», racconta lo scrittore fiorentino, rivelando così la pratica delle «bustarelle» tristemente note alle cronache italiane.

Sul finale Montale svela un retroscena della sua vita, che si può comprendere appieno soltanto, se letto in filigrana con quanto letto finora: dietro la modestia, che sembra l’abito largo di un giovane sfaccendato che non vuole saperne di affari e commerci, si nasconde non solo la vocazione poetica del genovese, ma anche il suo profondo senso di dignità. Un termine oggi dimenticato, spesso scambiato per semplice amor proprio, ma che affonda invece le sue radici (come suggerisce tra l’altro l’etimologia stessa dal lat. dignĭtas -atis, der. di dignus ” degno) nella nobiltà morale dell’uomo. In altre parole la difesa dei suoi principi. Ed è per questa forma di decoro che Montale sopporta addirittura le prepotenze degli squadristi fascisti.

Montale

Eugenio Montale contro il fascismo: l’alterco col padre

Nelle battute conclusive il giornalista racconta di essere stato picchiato per non essersi piegato al saluto romano. «Un sabato mattina ci fu un alterco piuttosto vivace fra me e mio padre. Alcuni scamiciati mi avevano preso a ceffoni per la strada, perché non avevo alzato la mano a salutare un cencio nero, e il mio vecchio sosteneva che avevano fatto benissimo e che la mia impudenza non meritava di meglio». Una testimonianza lucida, riportata senza cadere nella retorica o nel patetico sentimentalismo, che Montale tanto detestava. leggi anche l’articolo —> Edgar Allan Poe libri e curiosità: dall’abuso di alcol al necrologio scritto dal suo peggior nemico

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