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Aborto, in Italia molte strutture hanno ancora il 100% di medici obiettori

17/05/2022 14:11

La legge 194 che disciplina l’aborto in Italia è stata approvata il 22 maggio del 1978. A distanza di 44 anni, però, vedersi riconoscere il proprio diritto di interrompere una gravidanza è ancora una vera e propria odissea. In molti ospedali il numero di dottori obiettori di coscienza infatti raggiunge il 100%. In altri l’80%. Dati sconcertanti che raccontano una triste realtà: nel nostro Paese la legge è completamente ignorata. Così come la volontà delle donne.

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Aborto, in Italia ancora troppi dottori sono obiettori di coscienza

Nonostante i dati siano poco aggiornati e non molto dettagliati, dalla denuncia dell’Associazione Coscioni emerge un quadro molto chiaro: “Utilizzando lo strumento dell’accesso civico generalizzato, abbiamo potuto verificare che in molti ospedali il 100% dei ginecologi è obiettore di coscienza. In moltissimi lo è più dell’80%. Questi dati non si vedono nella Relazione sullo stato di applicazione della legge 194. Perché li riporta aggregati per regione”, si legge infatti nella missiva che domanda di rivedere le modalità di stesura della Relazione annuale al Parlamento. Tra l’altro, in alcune zone precise del nostro Paese, riuscire ad accedere all’aborto è praticamente impossibile.

Proprio per questo motivo Filomena Gallo e Mirella Parachini (segretaria e vice segretaria dell’Associazione), Anna Pompili (ginecologa e consigliera dell’Associazione), Chiara Lalli e Sonia Montegiove (giornaliste e autrici dell’indagine “Mai dati” che analizza il reale numero di medici obiettori di coscienza delle strutture italiane) chiedono di rendere i dati aperti, in un formato “di qualità. Aggiornati trimestralmente o in tempo reale”. Che venga fatta un’analisi delle singole strutture. E che alle categorie della Tabella 28 (obiettori e non obiettori per categoria professionale) siano aggiunte le voci: non obiettori che eseguono IVG e operatori che eseguono l’IVG dopo il primo trimestre”.

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Aborto, la denuncia dell’Associazione Coscioni

Inoltre, insieme chiedono che venga inserito nella lista dei Livelli essenziali di assistenza un indicatore rappresentativo della effettiva possibilità di accedere alla IVG in ciascuna Regione. E che tutti i territori offrano, così come da disposizioni ministeriali, la reale attuazione della possibilità di eseguire un’interruzione farmacologica in regime ambulatoriale. “Una cosa è molto chiara: la legge 194 è ancora mal applicata o addirittura ignorata in molte aree del nostro Paese. Con Anna Pompili e Mirella Parachini, ginecologhe, e con l’Associazione Luca Coscioni abbiamo spesso evidenziato le criticità reali dell’applicazione e dell’accesso alla interruzione volontaria della gravidanza. Oggi chiediamo con urgenza al Ministro della Salute Roberto Speranza e al Ministro della Giustizia Marta Cartabia che i dati sull’applicazione della legge 194 siano in formato aperto, di qualità, aggiornati e non aggregati.

Che si sappia quanti sono i non obiettori che eseguono le IVG e gli operatori che le eseguono dopo il primo trimestre. Che tutte le regioni offrano realmente la possibilità di eseguire le IVG farmacologiche in regime ambulatoriale“. I risultati dell’indagine “Mai dati”, infatti, dimostrano che “la valutazione del numero degli obiettori e dei non obiettori è troppo spesso molto lontana dalla realtà. Dobbiamo sapere, tra i non obiettori, chi esegue realmente le IVG. Perché in certi ospedali alcuni non obiettori eseguono solo ecografie. Oppure ci sono non obiettori che lavorano in ospedali nei quali non esiste il servizio IVG, e quindi non ne eseguono.

La percentuale nazionale di ginecologi non obiettori di coscienza (che secondo la Relazione è del 33%) deve, dunque, essere ulteriormente ridotta perché non tutti i non obiettori eseguono IVG. Non basta conoscere la percentuale media degli obiettori per regione per sapere se l’accesso all’IVG è davvero garantito in una determinata struttura sanitaria. Perché ottenere un aborto è un servizio medico e non può essere una caccia al tesoro”, si legge in conclusione nella lettera. >> Tutte le notizie di UrbanPost