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Alberto Sordi, c’era chi non lo poteva ‘soffrire’, da Pasolini a Paolo Villaggio: tutti i «nemici» dell’attore

15/06/2020 11:31

Alberto Sordi 100 anni dalla nascita oggi 15 giugno 2020. Da «Macaroni … m’hai provocato e io te distruggo, maccaroni! Io me te magno!» di Un americano a Roma’ a “Lavoratori… Lavoratori della malta. Prrr” de ‘I Vitelloni’. Poi ne ‘Il Vigile’ la pernacchia la riceve, quando vestito in giacca da camera si reca al bar prima di indossare l’agognata divisa, ottenuta grazia all’integerrimo sindaco interpretato da Vittorio De Sica. Ma potremmo aggiungere l’indimenticabile battuta de ‘Il marchese del Grillo’, «Mi dispiace. Ma io so io e voi non siete un c…», entrata prepotentemente nella storia del cinema. 

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Alberto sordi

Alberto Sordi 100 anni dalla nascita, c’era chi non lo poteva soffrire: da Pasolini a Paolo Villaggio

Alberto Sordi è storia, ‘quer ragazzo de Trastevere’ è nel cuore di tutti noi. Lo si è amato molto quand’era in vita e si continua a farlo dopo la morte. D’altronde come diceva il poeta latino Orazio «l’arte rende immortali». Gli si vuole bene perché Sordi, che avrebbe compiuto oggi 100 anni, ha saputo incarnare tutti i vizi dell’italiano medio; ha rappresentato, per certi versi, il ‘don Abbondio’ (e lo ha fatto per davvero tra l’altro in uno sceneggiato degli anni Ottanta, tratto da ‘I promessi sposi’, diretto da Salvatore Nocita), che si annida in ognuno di noi. Mi guardo bene dal chiamarle virtù, ne sono consapevole. Ma le cose belle non destano ilarità, c’è poco da fare. Per questo nell’anniversario della nascita mi ha colpito e mi preme segnalarlo un articolo uscito su ‘La Stampa’, che porta la firma di Fulvia Caprara dal titolo «’Ve lo meritate Alberto Sordi’, da Pasolini a Moretti: tutti gli illustri nemici dell’attore». Ed è un pezzo che mette insieme l’opinione di chi vedeva dei difetti nel Sordi personaggio. Pensiamo a film come ‘Il segno di Venere’ di Dino Risi, dove vestiva i panni di Romolo Proietti, ‘commerciante d’auto’ che fa di tutto per rifilare una macchina rubata ad un fotografo di terzo ordine che aveva il volto di Peppino De Filippo. O anche a I pappagalli, regia di Bruno Paolinelli, in cui Sordi approfittando dell’assenza della moglie cerca di sedurre (e ci riesce) la cameriera nel suo ricco appartamento donandole un paio di calze. Non è simpatico poi Sordi in ‘Totò e i re di Roma’ del ’52 quando boccia il povero impiegato statale, interpretato da Antonio De Curtis, per una semplice rivalsa personale. 

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«Te lo meriti Alberto Sordi, te lo meriti…», i vizi degli Italiani sul grande schermo

No, no, no i personaggi di Alberto Sordi non erano davvero ‘persone perbene’, ma non per questo non li si trovava irresistibili. E Fulvia Caprara parte proprio dalla battuta «Ma che siamo in un film di Alberto Sordi? Te lo meriti Alberto Sordi, te lo meriti», per dimostrare che il mito di Sordi è intoccabile. Lo stesso Moretti parlando di quella scena aveva confessato: «Il pubblico delle proiezioni di Ecce bombo era sempre generoso, disponibile, ridanciano… ma quando arrivava la battuta su Sordi calava in sala un gelo, come se avessi bestemmiato in chiesa». La giornalista de ‘La Stampa’ passa in rassegna una serie di considerazioni amare di chi proprio Sordi non lo poteva soffrire, imputando a lui la ‘colpa’ di aver esaltato la cattiva coscienza italiana.

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Pasolini: «Quella comicità piccolo borghese senza nessuna fede, senza nessun ideale»

Prendiamo Pier Paolo Pasolini. «Alla comicità di Sordi – diceva lo scrittore – ridiamo solo noi italiani, ridiamo, e usciamo dal cinema vergognandoci di aver riso, perché abbiamo riso sulla nostra viltà, sul nostro qualunquismo, sul nostro infantilismo». Quel modo di far ridere, «quella comicità piccolo borghese e cattolica, fondamentalmente senza nessuna fede, senza nessun ideale, non urta e non urterà mai la censura italiana. Urta e urterà sempre chi possiede una sensibilità civica e morale, cioè la media dei pubblici francesi e anglosassoni», insisteva Pasolini. E non era il solo a pensarla così prima che la «santificazione» di Alberto Sordi prendesse il sopravvento (già, bisogna morire per diventare dei ‘grandi’ e deve passare del tempo).

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Tognazzi: «Ho visto in tv l’ingresso di Sordi a Sanremo somigliava molto al Papa, mentre io continuo a somigliare solo a me stesso»

Commenti al veleno arrivavano anche dai colleghi, non solo dagli intellettuali. «Tognazzi – racconta Goffredo Fofi nel suo libro Alberto Sordi L’Italia in bianco e nero (Mondadori) – «diceva non sono l’attore carismatico che ha fatto di tutto per esserlo, Sordi ha lavorato tutta la vita per essere quello che è oggi per il pubblico, l’Albertone nazionale. Io, invece, sono un Ughetto nazionale, modestamente, non ho fatto niente per essere un Ugone nazionale». E ancora: «Ho visto in tv l’ingresso di Sordi a Sanremo somigliava molto al Papa, mentre io continuo a somigliare solo a me stesso», parole sempre di Tognazzi un altro grande mattatore della commedia italiana. Non meno feroci le parole di Mario Monicelli: «Sordi è sempre stato fascista» o quelle di Furio Scarpelli, «I suoi non sono pensieri da fascista, ma da balilla».

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Paolo Villaggio: «Alberto Sordi? Ha fatto capire quello che è il cinismo dei romani»

Ma forse il giudizio più severo è arrivato, come ricorda Fulvia Caprara, proprio da Paolo Villaggio«Sordi è quello che ha fatto capire, più esattamente di tutti, quello che è il cinismo dei romani». Per loro, aggiungeva l’attore, «è stata una lezione e una terapia. Dopo Sordi, i romani hanno accettato l’idea di essere un pochettino come lui». Ma che vi devo dire? A me i romani piacciono tanto tanto, con tutti i difetti (‘pennichella’ compresa). Sarà forse anche per questo che Alberto Sordi è uno degli attori che più mi piace rivedere. Siamo imperfetti, d’altronde l’uomo è il solo animale risibile (che ride e di cui si può ridere). leggi anche l’articolo —> Alberto Sordi 100 anni, programmazione tv oggi 15 giugno: l’omaggio di Rai e Mediaset