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Armi all’Egitto, l’Italia volta le spalle alla famiglia Regeni: la commissione chiede incontro con Conte

10/06/2020 10:48 - Aggiornamento 25/01/2021 11:54

Armi all’Egitto. Con l’autorizzazione alla vendita di due fregate della Marina militare italiana all’Egitto, l’Italia (come se non bastasse) non ha solamente voltato le spalle a Giulio Regeni, ma ha anche dimostrato il suo coinvolgimento nel conflitto libico. Con un solo gesto, quindi, si è letteralmente infangata. E per questo la commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Giulio Regeni ha richiesto di convocare “urgentemente” il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, “alla luce degli ultimi rilevanti sviluppi in ordine alle relazioni bilaterali italo-egiziane”.

>>Leggi anche: 10 giugno 1940, l’Italia entra in guerra: la scelta di Mussolini che cambiò la storia del Paese

Armi all'Egitto

Armi all’Egitto, con questo accordo l’Italia si dimentica di Giulio Regeni

La scelta del governo tradisce le promesse fatte alla famiglia Regeni“, ha sottolineato il presidente della commissione Erasmo Palazzotto. La morte dello studente italiano, dopo più di quattro anni, infatti, è ancora avvolta da un alone di mistero. Nonostante la dichiarata disponibilità del presidente egiziano Al Sisi, l’Egitto sembra non voler collaborare all’indagine giudiziaria sul sequestro e l’omicidio del ricercatore friulano, caso coinvolge lo Stato in modo diretto e che potrebbe rovinare i rapporti diplomatici con l’Italia.

E con l’operazione commerciale l’Italia, a sua volta, sembra decisa a voltare le spalle alla famiglia Regeni. Come se ufficialmente volesse aiutarla a scoprire una verità che le spetta, ma solo per dovere formale. Per questo motivo la vendita ha innescato numerose polemiche e proteste, anche all’interno della maggioranza. Non tutti però la pensano così: “Non vendere le fregate all’Egitto non avrebbe portato nessun valore aggiunto nel percorso per raggiungere la verità sulla morte di Giulio Regeni”, ha attaccato Vito Crimi, capo politico del M5S e viceministro dell’Interno. “Vorrei sottolineare che non stiamo regalando le navi, ma le stiamo vendendo. L’Egitto le ha chieste a vari Paesi e noi abbiamo la possibilità di fornirle, di fatto è una manovra di tipo economica”.

Certo, economica ma non solo. Crimi comunque sembra essere una voce fuori dal coro, visto che una nota unitaria del Movimento, invece, ha chiesto a Palazzo Chigi di ripensarci.

Armi all’Egitto, la commissione di inchiesta su Regeni chiede l’interrogazione parlamentare

Oggi il caso finirà in Parlamento, dove sarà presentata una interrogazione di Liberi e Uguali. “Il Paese destinatario del maggio numero di autorizzazioni italiani per nuove licenze di armamenti è l’Egitto. Il governo italiano non ritiene di rivedere la politica sulle forniture militari al regime di Al Sisi?”, si chiedono i deputati Nicola Fratoianni e Federico Fornaro. “Solo quattro mesi fa le forze di sicurezza egiziane hanno arrestato, senza un valido motivo, il giovane Patrick Zaki, cittadino egiziano studente dell’Università di Bologna, ancora recluso”. Di fatto, di Patrick Zaki a oggi si sa davvero poco. E anche questo dovrebbe far riflettere, in particolare sul mancato interesse che l’Italia sta dimostrando rispetto al caso.
Sulla stessa lunghezza d’onda si pone anche il Partito Democratico: “La vendita delle due fregate militari della Marina Italiana all’Egitto porta con sé grossi rischi. L’Egitto non è un nostro alleato: nel Mediterraneo abbiamo interessi diversi, con gli egiziani che fanno parte di un’asse regionale reazionaria e che in Libia sostengono il governo Haftar. Mentre l’Italia quello internazionalmente riconosciuto di Serraj. A ciò si aggiunge la mancanza di collaborazione da parte egiziana sia sulla vicenda di Giulio Regeni che quella di Patrick Zaki, a testimonianza di una scarsa attenzione verso le richieste italiane”, ha evidenziato la deputata Lia Quartapelle.

Palazzotto: “Il governo tradisce le promesse fatte alla famiglia Regeni”

Io penso che la famiglia Regeni faccia bene a rivendicare il suo diritto a chiedere giustizia per il figlio, la scelta del governo tradisce un po’ le promesse che erano state fatte alla famiglia. A loro va tutta la mia vicinanza e il sostegno della commissione che presiedo”, ha dichiarato Erasmo Palazzotto, il presidente della Commissione parlamentare d’Inchiesta sulla morte di Giulio Regeni. “Siamo davanti a un export di armamenti imponenti, che, al netto della questione Regeni, apre una riflessione rispetto a qual è il modello economico con cui noi guardiamo al Mediterraneo. Penso che anche in un momento così delicato, non si possa mai pensare di sacrificare l’etica sull’altare degli interessi economici, anche in una fase difficile come quella post Covid”.

E se è vero che, come scrive Giuliano Pisapia, gli italiani sono stufi “delle innumerevoli promesse non rispettate dalle autorità egiziane”, sono anche stanchi dei silenzi italiani. Perché di fatto con questo accordo l’Italia muove le pedine della scacchiera mediterranea, appoggiando e sostenendo il regime di Al Sisi. 

https://www.facebook.com/retedisarmo/posts/10158326987184709

Armi all’Egitto, Rete italiana per il disarmo: “Oltraggioso”

Anche la Rete italiana per il disarmo è intervenuta sulla questione. E ha definito la commessa come “oltraggiosa nei confronti della memoria di Giulio Regeni, il giovane ricercatore italiano barbaramente assassinato in Egitto e sulla cui morte le autorità egiziane non hanno mai contribuito a fare chiarezza, ma anche nei confronti di tutti coloro (oppositori politici, sindacalisti, giornalisti, difensori dei diritti umani) che vengono perseguitati perché non sono graditi al regime imposto dal generale al-Sisi, come dimostra anche il caso di Patrick Zaki”. Inoltre, secondo la Rete italiana per il disarmo è inaccettabile rilasciare la licenza di esportare un arsenale militare all’Egitto, il quale da anni “destabilizza ogni negoziato per la pacificazione in Libia”. Stando ai dati, infatti, l’Egitto è stato, nel 2019, il principale destinatario dell’espor di armi da parte dell’industria bellica italiana. In totale, ha contribuito a costruire un giro d’affari pari a 871 milioni di euro.

Quello che si sta verificando, quindi, non è solo un compromesso economico, un atto di vendita. E’ una vera e propria scelta politica e ideologica. Si fanno tanti discorsi di geopolitica, di umanità e democrazia, poi si vendono le armi a tutti. >>Tutte le notizie di UrbanPost