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Coronavirus paziente 1, la rinascita di Mattia: «Non potevo andare via mentre mia figlia stava arrivando»

21/04/2020 10:02

Un’esistenza completamente sconvolta quella di Mattia Maestri, per tutti il paziente 1 di Codogno, grazie al quale è stata scoperta la pandemia di coronavirus che di lì a poco avrebbe devastato l’Italia e il mondo intero. È alle pagine di Repubblica che il 38enne, diventato “un simbolo in Europa”, affida il racconto di quei giorni bui e la successiva rinascita. Un risveglio non facile in cui ha dovuto fare i conti con la morte del padre, portato via da quello stesso sconosciuto virus contro cui ha lottato per circa un mese. Di mesi ne sono passati esattamente due, ad oggi, da quel triste giorno in cui Mattia ha iniziato la sua battaglia.

coronavirus paziente 1

Coronavirus, Mattia il paziente 1: «Avevo netta la percezione che quella pace fosse l’anticamera della fine»

Diventato padre della piccola Giulia nel frattempo, Mattia si dice oggi ottimista: «Sarò sincero: – ammette – io davanti vedo il sole», ma quel limbo in cui ha vissuto da quando è stato sedato a Codogno non l’ha dimenticato. «Ero incosciente, a tratti sognavo ma non ricordo più cosa. Non soffrivo: avevo però netta la percezione che quella pace fosse l’anticamera della fine». Due mesi “sconvolgenti, molto più che inimmaginabili”, in cui Mattia ha «imparato a resistere e a credere nella differenza tra fiducia e utopia, a considerare essenziale ogni istante di normalità. La vita e la morte, – dice – senza offrirci l’opportunità di percepirlo, ogni giorno si sfiorano in silenzio attorno a noi».

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«Non sapevo che nel frattempo Covid-19 si era rivelato una devastante pandemia»

E mentre ancora non si è trovato il ‘paziente zero’ di Mattia, il 38enne ringrazia l’intuizione dell’anestesista Annalisa Malara che “non si è rassegnata a perdere un paziente senza capire perché”. È stata lei a chiedere che venisse effettuato il tampone per coronavirus nonostante il virus, in quel momento, non fosse ancora presente in Europa. Fondamentale anche l’accenno della moglie Valentina alla cena con l’amico di Fiorenzuola che, però, non ha mai contratto il virus.

Dopo due settimane trascorse in coma, è stato nella terapia sub-intensiva del San Matteo di Pavia che Mattia ha “saputo dov’ero, anche se non sapevo che nel frattempo Covid-19 si era rivelato una devastante pandemia”. Ed è stato ancora in quel letto d’ospedale che il giovane ha scoperto della morte del padre Moreno: «Il 19 marzo l’ho chiamato sul cellulare dall’ospedale. – ha raccontato – Era la festa del papà, volevo fargli gli auguri. Ha risposto mia mamma e piangeva. Impossibile fargli il funerale. Per adesso mia madre custodisce le sue ceneri in casa».

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«Non potevo andare via mentre Giulia stava arrivando»

A dare forza, forse inconsciamente, all’ormai noto paziente 1 è stata l’imminente nascita della prima figlia: «Quando stai per morire – dice Mattianon puoi razionalmente resistere. Penso però che l’imminente arrivo di Giulia abbia moltiplicato le mie energie fisiche. Non potevo andare via mentre lei stava arrivando». E così, dodici giorni fa – con un po’ d’anticipo – Mattia ha potuto assistere al parto della piccola Giulia. «Sono state due ore che per me valgono davvero tutta la sofferenza che l’hanno preceduta. – ha confessato – Immagini: io appena salvato e uscito da una rianimazione, Milano e il Lodigiano demoliti da migliaia di morti e questa bambina che invece apre gli occhi perché sente che la vita è comunque meravigliosa».

Alla fine di quest’esperienza, Mattia si dice ‘illuminato’ su “molti punti oscuri dell’esistenza”. «Mi limito a due. – spiega – Primo, la generosità degli altri: se sono qui, lo devo a medici e infermieri che ogni giorno fanno con naturalezza molto più del necessario. Secondo, la forza mentale delle donne: mia moglie e mia madre, costrette ad aspettare, hanno sopportato più di mio padre e di me. Questa generosità e questa forza, a epidemia finita, non possono tornare ignorate». >> Coronavirus, medici ‘lottano’ per Mattia, il paziente 1 di Codogno: «Vederlo spegnersi sarebbe un incubo»