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Anche il “Financial Times” lo vuole al Quirinale: chi si nasconderebbe dietro la tifoseria di Draghi

20/12/2021 17:48 - Aggiornamento 20/12/2021 18:02

Draghi al Quirinale“Da ottimo economista, Draghi conosce la teoria del ‘second best’, della seconda migliore opzione. In un mondo perfetto, dovrebbe rimanere premier per tutti i cinque anni del piano nazionale di ripresa e resilienza degli investimenti pubblici e delle riforme, il Pnrr finanziato essenzialmente dall’Ue che ha messo in carica da quando è entrato in carica a febbraio. Ma se il risultato perfetto è irraggiungibile, è giusto optare per la migliore soluzione imperfetta. Vale a dire che Draghi sia eletto presidente della Repubblica dal Parlamento a fine gennaio, e da lì per i prossimi sette anni sovrintenda alle questioni come capo dello Stato”. A scriverlo sul «Financial Times» è Bill Emmott, storico direttore dell’«Economist». Un editoriale il suo che sembra “correggere” la visione del noto giornale anglosassone, che ha incoronato l’Italia Paese dell’anno 2021. L’«Economist» infatti auspicava che Draghi restasse esattamente dov’è. Quello di presidente della Repubblica sarebbe infatti “un incarico più cerimoniale”.

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Anche il “Financial Times” lo vuole al Quirinale: chi si celerebbe dietro la tifoseria di Draghi

Lo stesso «Financial Times» però nelle scorse settimane si era detto «preoccupato per la stabilità italiana» in caso di passaggio dell’attuale premier al Colle. Ora però il vento sembra cambiato e i malumori in seno ai partiti forse han cominciato ad impensierire l’establishment. C’è solo un’ipotesi peggiore della possibilità che Mario Draghi abbandoni Palazzo Chigi per andare al Quirinale e che, nel tentativo di farlo, non ci riesca. Tutti questi complimenti però impensieriscono non poco (che come dice un vecchio proverbio “Quando il diavolo ti accarezza vuole l’anima”): da chi è composta la compagine che elogia l’attuale premier? Perché tanti a fare il tifo per noi? È forse un caso che oggi l’Italia sia una “superstar” invidiata dagli altri partner dell’Ue? Che il Belpaese sia diventato addirittura un modello virtuoso da Cenerentola che era? Sono apprezzamenti che rendono orgogliosi, intendiamoci, ma il timore che siano lusinghe dettate da interessi puramente economici è legittimo. Se non fossero puramente venali, sarebbe la prova, se non altro, che le favole esistono anche nel mondo reale e che la parte più intrigante non sia tanto il bacio tra il principe e la damigella in pericolo, quanto piuttosto il ruolo giocato dai “draghi”.

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“Sei mesi con le mani su un volante sempre più tremolante rispetto a sette anni da autorevole vigile urbano”

La migliore soluzione imperfetta, stando a quanto si legge sul «Financial Times» oggi è che Super Mario (soprannome a lui sgradito, come tutti gli altri che gli son stati affibbiati) venga eletto presidente della Repubblica dal Parlamento a fine gennaio e da lì per i prossimi sette anni supervisioni. L’eventuale scelta dell’economista di restare primo ministro fino al 2023 non avrebbe esiti felici per il Paese: Draghi non potrebbe realizzare altrettanti “notevoli progressi come nei suoi 10 mesi in carica” perché questi “sono dipesi dalla tregua” tra i partiti dell’ampia maggioranza. “Dopo gennaio, quel cessate il fuoco potrebbe durare per altri sei mesi al massimo prima che prenda il sopravvento la febbre elettorale: sei mesi con le mani su un volante sempre più tremolante rispetto a sette anni da autorevole vigile urbano”, le parole di Emmott. “Questa è la vera scelta di fronte a Draghi”, ha puntualizzato il giornalista, che in passato non ha riservato parole sempre dolci al nostro Paese. Ci sarebbe poi la carta Mattarella bis (peraltro altamente improbabile) che tuttavia “rimanderebbe soltanto la questione e aumenterebbe il rischio” che qualcuno, e non Draghi, vada al Quirinale. In sostanza l’Italia potrebbe perdere il banchiere centrale sia come premier sia come capo di stato. “Non è questo il modo ideale per rivitalizzare un Paese, rimasto in una situazione stagnante per la maggior parte” degli ultimi 30 anni, si legge nello stesso lungo articolo.

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Draghi al Quirinale e a Palazzo Chigi? Lo scenario possibile

“Il piano di spendere 191,5 miliardi di euro dal Fondo Ue Next Generation, più 30,6 miliardi di euro di fondi propri dell’Italia, si è attirato elogi. I suoi investimenti in infrastrutture, transizione energetica e digitalizzazione puntano a soddisfare i criteri stabiliti dallo stesso Draghi nell’agosto 2020 da privato cittadino, quando sostenne che il debito pubblico aggiuntivo potesse essere giustificato solo se in grado di aumentare il potenziale produttivo dell’economia. La difficoltà è che fare tutto ciò richiede non solo che i soldi siano ben spesi; deve essere accompagnato da riforme profonde e sostenute della pubblica amministrazione, della giustizia e del sistema fiscale. Gli investitori privati devono arrivare a credere che tali cambiamenti siano permanenti”, riferisce il «Financial Times», che teme che l’Italia, dopo aver visto fiorire l’economia, ristagni. La speranza per Emmott, nel caso di volo libero del premier al Colle potrebbe essere un “governo fotocopia, il più vicino possibile all’esecutivo Draghi”. Dunque l’ipotesi di un ministro a lui vicino che lavori nel solco dell’ex guida di Bankitalia. Ma l’autorevolezza, dove la mettiamo? Uno come Daniele Franco, ad esempio, sarebbe in grado di tenere le redini di un governo composto da partiti tanto differenti tra loro? E poi chi assicura che con l’ex dirigente della Bce al Quirinale si venga a formare una maggioranza filo-draghiana? Il nodo della questione è tutto qui? Nemmeno per niente.

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Draghi al Quirinale “la miglior soluzione imperfetta”: le ragioni del «Financial Times»

Gli elogi dell’«Economist» e l’articolo di oggi uscito sul «Financial Times», a detta di alcuni, dovrebbero farci drizzar le antenne. Come mai tutto quest’interesse per il nostro Paese? Un interrogativo non di secondaria importanza. Sono lodi quelle dei media stranieri che arrivano in concomitanza del discorso della presidente dell’Ue Ursula Von Der Leyen all’Università Cattolica di Milano: «La gestione della pandemia è stata efficace, la vaccinazione va come un treno, l’economia sta crescendo più in fretta che mai, il Pil tornerà ai livelli pre-crisi già entro la metà del prossimo anno». Il messaggio chiaro questo qui: l’Italia non è mai cresciuta così tanto, il Paese nelle mani di Draghi è diventata un’altra cosa. E con tanto di bacchetta magica, per insistere sulla metafora fiabesca. Secondo quanto riferito da Stefania Tamburello, che ha dedicato al premier una biografia, edita da Rizzoli, ai tempi in cui lui era governatore, sulla sua scrivania non sarebbe mai mancato un bastoncino con delle stelline scintillanti dentro. Un regalino assai gradito.

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Chi si cela dietro al “Mario Draghi al Colle a tutti i costi”?

Ma chi si cela dietro questi giornali che vogliono Mario Draghi al Colle a tutti i costi? «Il Tempo» ha cercato di darsi una risposta: “È un sistema che da decenni vuole surclassare gli Stati, svuotare le Costituzioni democratiche e influenzare i governi nazionali, sostenendo il primato neoliberista delle privatizzazioni, della globalizzazione, della destrutturazione della famiglia e altro ancora. L’Economist è uno degli evangelisti della «lieta novella» neoliberista. E non a caso l’editore di riferimento, cioé l’azionista di riferimento, è la famiglia Elkann. Sono loro, infatti, attraverso la holding finanziaria di famiglia Exor ad avere il controllo dell’Economist Group. (…) In poche parole l’Economist è degli Elkann, i quali in Italia editano come Gedi, Repubblica, Stampa, l’Espresso”. Nell’articolo non firmato viene evidenziato come Mario Draghi incarni al meglio “il Presidentissimo ideale per continuare nella sostituzione silenziosa della democrazia con l’oligarchia”. Praticamente “L’Economist elegge l’Italia come Paese dell’anno perché vuole che gli italiani siano la preda sacrificale del grande banchetto neoliberista. Mario Draghi è il papa perfetto, per formazione (Goldamn Sachs) e per attitudine (dal Britannia in avanti)”.

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Draghi e il flirt continuo con i poteri forti: semplice stereotipo del banchiere che fa gli interessi di pochi?

I toni dell’articolo (non il solo a dire il vero) confermano uno stereotipo duro a morire nell’immaginario collettivo, quello di Mario Draghi da sempre vicino al mondo snob della finanza; in flirt continuo con i poteri forti. Che è poi, in verità, il motivo del livore di alcuni Italiani nei confronti dell’attuale presidente del consiglio; la ragione per la quale i canali social del premier stentano a decollare e a fare il pieno di like e complimenti, nonostante il lavoro dei social media manager e gli obiettivi importanti perseguiti dall’economista. Quel che sarà il post Mattarella non possiamo prevederlo, anche se qualche spoiler sarebbe gradito. Gli occhi di tutti sono puntati sulla conferenza stampa di fine d’anno di mercoledì: molti si aspettano che il premier si lasci andare. Se invece ho capito qualcosa dell’ex dirigente della Bce son quasi certa che si limiterà a tracciare un bilancio dell’anno andato. Tra soddisfazioni, meriti e traguardi. Alla domanda diretta di qualche giornalista risponderà col solito invidiabile self control e qualche briosa battuta. Che tutto si può dire, tranne che Draghi non sia arguto, un uomo di gran spirito. Leggi anche l’articolo —> “Bell’affare”. Corsa al Quirinale, ecco lo scenario peggiore per l’Italia 

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