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Efficacia dei vaccini Covid e durata dell’immunità: cosa dice il test dello Ieo

12/11/2021 17:00 - Aggiornamento 12/11/2021 17:21

Efficacia vaccini Covid – Si discute molto in questi giorni della terza dose, che presto sarà obbligatoria per medici, sanitari e personale delle Rsa, come ha annunciato il ministro della Salute Roberto Speranza. “Facciamo in fretta con il richiamo per fermare la quarta ondata. L’incremento dei contagi è oggettivo. Cosa fare? Diciamo che è come rendersi conto che l’acqua sta salendo. Noi non abbiamo tempo da perdere. Dobbiamo giocare d’anticipo, come ci ha insegnato questo virus che va veloce”, ha spiegato il segretario di Articolo Uno. Per questa ragione i ricercatori stanno tentando di capire quanto i vaccini funzionino, focalizzando l’attenzione sulla durata dell’immunità. L’ultimo studio, riportato da «Il Corriere della Sera», è stato condotto dallo Ieo, l’Istituto europeo di Oncologia, e finanziata dalla Fondazione Guido Venosta. «Lo spirito che ha animato il programma si basa sull’importanza della ricerca scientifica il cui scopo è migliorare le condizioni di vita dell’uomo», le parole del presidente Giuseppe Caprotti. 

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Efficacia dei vaccini Covid e durata dell’immunità, cosa dice il test dello Ieo (Istituto Europea di Oncologia)

Si tratta, come riferisce Adriana Bazzi su «Il Corriere della Sera», di una ricerca che ha interessato duemila persone dell’istituto, fra personale medico, sanitario, amministrativo, «monitorate» fin dall’insorgere della pandemia. Prima attraverso i tamponi, poi, dopo le inoculazioni, attraverso il dosaggio degli anticorpi anti Covid nel sangue. A spiegare i risultati ottenuti Pier Giuseppe Pelicci, direttore della ricerca allo Ieo e coordinatore dello studio, il quale al momento è pubblicato in preprint sulla piattaforma medRxiv. «Il primo punto è che i vaccini funzionano alla grande. Non è una novità, ma qui abbiamo la dimostrazione in un cosiddetto studio longitudinale, che ha cioè seguito un gruppo di persone, omogenee per esposizione al rischio di infezione, nel tempo», ha spiegato l’esperto. «Il secondo punto è che quando un vaccinato si ammala la malattia è più lieve e verosimilmente meno contagiosa che nel non immunizzato», ha aggiunto Pelicci.

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«Il tasso di infezione nella popolazione studiata è passato dal 17,8% prima della vaccinazione all’ 1,5% dopo il vaccino»

Notizie buone ci sono: “Nei soggetti vaccinati l’immunità al virus SARS-Cov-2 è risultata più forte e duratura rispetto a quella sviluppata naturalmente da chi contrae il virus e, in generale, legata al livello di anticorpi circolanti che si formano in ognuno di noi. Il tasso di infezione nella popolazione studiata è passato dal 17,8% prima della vaccinazione all’ 1,5% dopo il vaccino. Inoltre, suggeriscono i dati, i vaccinati che contraggono il virus hanno limitata capacità di contagio perché la carica virale è molto bassa e dura pochi giorni”, si legge sul portale ufficiale dello Ieo. 

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C’è una cattiva notizia e riguarda gli anziani

Qualche considerazione nel corso dell’intervista al «Corriere della Sera» sugli anticorpi che il sistema immunitario produce. Ed è un punto saliente questo, dal momento che tanti si chiedono se sia necessario sottoporsi ad un test per misurarli prima di fare la terza dose.

«La domanda preliminare, cui rispondere, era: ho avuto la malattia. Oppure ho fatto il vaccino? In che misura il mio organismo ha fabbricato anticorpi capaci di neutralizzare il virus? I nostri dati dimostrano che la produzione di anticorpi è molto più robusta dopo il vaccino (in oltre il 98 per cento delle persone), niente a che vedere con quella conseguente all’infezione, molto più debole», ha dichiarato il professor Giuseppe Pellicci. Ad ogni modo «i risultati possono indirizzare le politiche sanitarie, cioè le scelte della tempistica per la terza dose ad esempio. Ma è impensabile sottoporre tutta la popolazione a questi test e decidere caso per caso il da farsi», ha ammonito l’esperto. Lo studio però rivela anche una cattiva notizia: gli anziani (dopo la malattia o il vaccino) sembrano produrne purtroppo molti meno. In questi soggetti la produzione di anticorpi è ridotta. Leggi anche l’articolo —> Pregliasco sulla terza dose: “Potremmo essere coperti per anni”

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