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Dietro a un disturbo alimentare: la lotta silenziosa di chi vorrebbe scomparire

15/03/2022 12:31 - Aggiornamento 15/03/2022 13:15

Vivere con un disturbo alimentare significa imparare a conoscere ogni piccola parte del proprio essere. Saper capire quando il tuo cervello ti sta tutelando e quando, invece, ti sta colpendo. Significa mentire costantemente: prima di tutto a se stessi, poi agli altri. Convincersi di un realtà che non esiste, ma non riuscire ad ammetterlo. C’è chi ancora crede che i disturbi alimentari siano capricci, momenti di vita adolescenziali, problemi futili. Chi non capisce che di disturbi alimentari si muore. Proprio per questo è stata istituita la Giornata internazionale dei disturbi del comportamento alimentare, che cade proprio oggi: non solo per sensibilizzare, ma soprattutto per spiegare che no, quando si parla di DCA non si parla di ragazzine che vogliono essere più magre per “raggiungere gli standard” imposti dalla società. Dietro a un disturbo alimentare c’è un abisso, un vero e proprio buco nero. 

Giornata internazionale dei disturbi alimentari

Succede che un giorno sei in casa, lontano dagli occhi di tutti. L’umore è basso, magari non sai nemmeno di preciso perché. Saranno gli anni di pandemia che pesano sulle spalle e sulla mente, sarà la guerra a pochi migliaia di chilometri da casa. Ti senti fortunato, certo, e ti chiedi perché. Così decidi di concederti un dolce, uno spuntino. Poi però non ti basta: allora incominci ad aprire di nuovo il frigo. E ancora, ancora, ancora. Mangi tutti quello che hai davanti, fino a che non ti senti male. Anche quel panetto di burro nascosto dietro a tutto il resto. Non sai cosa stai facendo. E’ più forte di te. Non riesci a controllarti. E’ come se fossi drogato.

Ho scoperto di soffrire di un disturbo alimentare a 16 anni. L’ho scoperto perché, fortunatamente, prima di me, se ne sono accorte le persone che mi erano vicine. Rifiutavo il cibo, mi inventavo impegni improrogabili pur di saltare i pasti. Non mi rendevo conto di quello che mi stava succedendo. Sono stata risucchiata da questo vortice per meno di un anno, un tempo sufficiente però per lasciarmi in eredità un trascorso con cui, probabilmente, dovrò lottare per sempre. Piano piano mi hanno letteralmente riabituata a mangiare, e questo grazie alla tempestività e all’attenzione che mi è stata data. Qualche mese in più sarebbe stato sufficiente a far aggravare la situazione in un modo irreversibile. Ma la storia non finisce con il riprendere a mangiare. Il disturbo alimentare continui a portartelo dentro, sempre. Ogni tanto ti bussa alla porta, quando abbassi la guardia. Ti ricorda che è lì. E così ti abbuffi, o salti l’ennesimo pasto. Se sei abbastanza forte lo zittisci.

Chi non ha mai sofferto di un disturbo alimentare fatica a capire quello che si aziona nella testa di chi, invece, contro questo demone ci combatte. Dirò una cosa impopolare: dai disturbi alimentari non si guarisce. Si impara a conviverci, questo è vero, ma quel pensiero, ogni tanto, torna prepotentemente fuori.

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Binge eating, anoressia, bulimia, drunkoressia, ortoressia, night eating syndrome, disturbo da ruminazione… L’elenco è lungo, e spesso non ci si accorge nemmeno di avere un disturbo del comportamento alimentare fintanto che questo non diventa seriamente debilitante. E anche a quel punto, ammetterlo è terribilmente difficile: come posso fare a nasconderlo? Cosa diranno gli altri di me? Se ne accorgeranno? Ti racconti che non è davvero un problema, che i problemi sono altri. Ma non è così.

Erroneamente, nel credo generale, si pensa che solamente chi arriva a pesare meno di 40 chilogrammi soffra di un disturbo alimentare. In realtà quella è la punta dell’iceberg. C’è chi si abbuffa, c’è chi vomita dopo i pasti, c’è chi si chiude in palestra ore e ore per compensare quanto mangiato. C’è chi conta compulsivamente le calorie. E sono solo alcuni esempi. Intervistando tante ragazze, ho capito che c’è un filo conduttore per tutte: l’esigenza di controllare qualcosa. Spesso, infatti, mi è stato detto che in qualche periodo della propria vita, in adolescenza come in età adulta, hanno sentito di non avere più in mano la propria vita. Così il gestire l’alimentazione è diventato il loro punto di forza. “Se riesci a controllare il cibo, qualcosa che per tutti è fonte di vita, allora diventi invincibile”, è una delle frasi che mai dimenticherò. Nessuna mi ha mai parlato di voler essere più magra, più bella, più in linea con gli standard. Al massimo ha detto di voler scomparire. Probabilmente ci saranno anche questi casi, ma la domanda da porsi è: perché le persone arrivano a cercare la perfezione in termini di fisicità?

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Che il sistema sia sbagliato è una cosa ormai ovvia agli occhi di tutti. Preso coscienza di questo, però, bisogna anche ammettere che il riconoscimento di un disturbo alimentare è ancora una sfera dalla quale molte persone si nascondono. Proprio per questo in Italia si presume che più di 3 milioni di persone siano affette da un DCA, con un aumento sostanziale nei bambini. La pandemia, poi, ha preparato il terreno per un aumento smisurato di questi disturbi. Nei primi sei mesi di Covid i casi sono aumentati del 40% rispetto ai primi sei mesi del 2019. Nel primo semestre 2020, poi, sono stati registrati 230.458 nuovi casi, contro i 163.547 dei primi sei mesi del 2019. Nel 2020, fra nuovi casi e quelli già in terapia, sono stati trattati 2.398.749 pazienti, ma la cifra è sottostimata perché c’è una grande quota di persone che non arriva alle cure.

Cerchiamo di prestare attenzione di fronte agli atteggiamenti di chi ci sta vicino e se iniziamo noi stessi ad avere nuove abitudini non sane. Non sottovalutiamo il problema, perché una volta cronicizzato uscirne è praticamente impossibile. Impariamo a non giudicare il fisico altrui: non sappiamo chi abbiamo davanti, se sta combattendo contro un demone di questo tipo. Anche un semplice “sei dimagrita/o”, può causare delle importanti conseguenze in chi sta tentando in tutti i modi di non perdere peso, senza riuscirci. Lo stesso vale al contrario. Bisogna avere tatto.

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