La giornata mondiale dell’abbraccio si ricorda dal 1986, quando lo statunitense Kevin Zaborney la istituì. Conosciuta negli Usa, in Canada, in Australia e in Europa, la giornata dell’abbraccio ci ricorda quanto è importante il contatto fisico per gli essere umani. Ce lo ricorda soprattutto in questo 21 gennaio 2021, quando da ormai 11 mesi ogni forma di contatto fisico è demonizzata. L’impatto devastante della pandemia sulla salute mentale passa in gran parte da qui. Dalla messa al bando dei gesto di affetto: abbracci, baci, carezze e strette di mano. Ed è la scienza che ce lo spiega.
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La scienza del contatto umano
La scienza del contatto umano prende il nome di haptonomia, dal greco haptein, ‘contatto’ e nomos,‘intelligenza’. La haptonomia fu fondata nel 1945 dal medico olandese Frans Veldman. Veldman aveva vissuto la seconda guerra mondiale e aveva notato che il contatto affettivo poteva sostenere l’uomo nella sua capacità di rimanere o ridivenire umano. La necessità di contatto umano è un riflesso naturale e una necessità che si osserva anche negli essere umani appena venuti alla luce. “I neonati hanno sin dalla nascita il riflesso della prensione: se gli tocchiamo l’interno della mano vedremo come tenderà immediatamente ad aggrapparsi. Questo istinto primordiale ha lo scopo di farlo sentire protetto, al sicuro, e soddisfa, oltre al bisogno di sopravvivenza, anche quello affettivo”. Così spiega la psicologa e psicoterapeuta Paola Medde su Sanitàinformazione.it.
L’impatto di un abbraccio sul sistema immunitario
Il contatto pelle a pelle stimola anche il nostro cervello. Il tocco è in grado di evocare una risposta di rilassamento, che può far diminuire la frequenza cardiaca e la pressione arteriosa. E non solo: “Questa vicinanza – aggiunge Paola Medde – protegge e rinforza il nostro sistema immunitario e ci tiene alla larga da possibili disturbi di natura depressiva. La psicoanalisi fece i suoi primi studi sui bambini sottoposti ad isolamento perché orfani: si notò come i bambini non stimolati, non toccati, non accuditi da un punto di vista fisico, tendevano ad avere una deprivazione generale sia del tono dell’umore che del sistema immunitario”. Fu lo psicanalista austriaco René Spitz ad osservare dei bambini abbandonati fin dalla nascita in un orfanotrofio, dimostrando come ad un anno di vita le loro prestazioni intellettuali erano molto ritardate rispetto alla media.
A riprova di ciò, basti pensare alla pet-therapy, la cui validità è universalmente riconosciuta. “Tutto grazie al contatto, in questo caso con il pelo e non con la pelle, che ricorda molto l’attaccamento primordiale. Legame rievocato anche dai peluche che doniamo ai nostri bambini, facendogli sentire la vicinanza anche quando l’altro non è disponibile”, ricorda Medde. La diffusione delle cosiddette “stanze degli abbracci”, istituite in sempre più residenze per anziani durante la pandemia, riflette l’importanza vitale del contatto umano per la salute mentale e fisica.
La “fame di pelle”
La mancanza a cui siamo stati costretti nell’ultimo anno ha accentuato un fenomeno già presente nell’era digitale, ovvero la “skin hunger”, la fame di pelle che si accusa quando il contatto umano è carente. Si tratta di “una mancanza”, sottolinea la psicologa Medde, “che può incidere negativamente sull’umore, influenzando i ritmi del sonno e il nostro rapporto con il cibo, fino alla depressione”.
La lontananza fisica e l’assenza di quei riti che comprendono il contatto pelle a pelle sono specialmente impattanti sulle popolazioni che, dipendendo da fattori culturali, basano la comunicazione su un’alta frequenza di contatti. Le popolazioni “ad alto tocco”, come quella italiana, sono quelle che hanno dovuto modificare maggiormente le proprie abitudini. Come spiega lo psicoterapeuta Luca Rizzi su Mashable.com, “in Italia, dove baci, abbracci, strette di mano sono comuni tra conoscenti, dovremo imparare un nuovo linguaggio”. >> Tutte le notizie di cultura